C’era il popolo della Dyane e quello della Renault4. Erano perennemente in lotta e si contendevano l’auto più “Trendy”. Una battaglia transalpina che giunse, sul finire degli anni sessanta, anche in Italia. Erano le auto con il cambio “a cloche” utili per incontri “intimi” anche se, occorre dirlo, alcuni modelli, i più spartani, non avevano i sedili reclinabili. Erano automobili costruite sulle linee nette, ma avevano la loro personalità. Possedere una Dyane due cavalli era sinonimo di libertà e spensieratezza, la R4 era, almeno in Italia, più proletaria e “di sinistra”. Poi c’era il Maggiolino. Tedesco. Della Volkswagen. Il maggiolino, che in Francia chiamavano “coccinelle”, fu prodotto, per la prima volta nel 1938 e, per questo motivo, è l’auto più longeva del mondo. La sua “morte” fu decretata ufficialmente il 30 luglio del 2003 quando dalla fabbrica del Brasile uscì l’ultimo modello. Chi possedeva il maggiolino non solo era “trendy” ma anche “radical-chic” e il suo mondo era completamente diverso da quello frequentato dai possessori di Dyane due cavalli e Renault4. Era il mondo patinato delle sciarpe di seta ma non costosissime, era la possibilità di esibire un’auto le cui rotondità avrebbero modificato gli assetti delle auto del futuro. Oggi, se ci pensate, tutte le auto sono passate dal Maggiolino. Era l’auto del “maggiolino tutto matto” che ebbe diversi “sequel”, era l’auto di alcuni commissari tedeschi in vari telefilm ed era (e lo è ancora perché il tempo nei fumetti non si modifica) l’auto di Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo ideato da Tiziano Sclavi. Era un sogno da realizzare, più complicato delle auto francesi, era la possibilità di poter esibire (il maggiolino cabrio, soprattutto) un’auto diversa alle ragazze. Il maggiolino aveva si il cambio tra i sedili ma quelli erano reclinabili. Ne hanno venduto, negli anni oltre ventuno milioni di esemplari. Probabilmente ci sono molti figli di “maggiolino” sparsi per il mondo. Per quelli, poi, non possessori di auto, rimaneva comunque la cantina dove si “respirava piano”. Ma questa, chiaramente, è un’altra storia.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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