John si alzò abbastanza presto quella mattina. Non che avesse qualcosa da fare ma aveva l’assoluta necessità di una doccia. Se lo sentiva addosso il sudore rappreso e quell’odore acre di birra. Avevano bevuto molto quella notte. Forse avevano fatto anche sesso. Ma non era in grado di ricordarselo. Con Alice funzionava così: si beveva e poi, chissà. Quel chissà era come nebbia intensa dove lui annaspava con i ricordi. “Whatsappiamola”, si disse mentre si era seduto sulla tazza del cesso per paura di pisciare fuori. Prese il cellulare e cliccò sull’applicazione verde, presente nella prima videata del suo smart-phone. Attese ma vedeva solo una rotellina girare. Lentamente. “Non c’è campo”, pensò e osservo le tacche in alto, a sinistra sul cellulare. C’erano tutte. “Cazzo, è a palla”, disse mentre si sistemava le mutande. Provò con Messenger. Non amava chattare con quell’applicazione. La riteneva più lenta di WhatsApp. E più vecchia. Cliccò sulla freccia bianca in campo azzurro e attese. Quella cazzo di rotellina si presentò uguale. “Fanculo” si disse. L’unica è aprire Facebook e mandarle un messaggio alla sua pagina. Andò su internet e si rese subito conto che la home page, quella della sua squadra di football, caricava che era una meraviglia. Campeggiava sul sito la foto a torso nudo e tatuato della sua ala preferita: Richard Person. Un duro, uno che aveva milioni di follower e poteva permettersi di mandare affanculo quasi tutti. Tranne i suoi tifosi. Scrisse velocemente “facebook” ma, anche in quel caso la rotellina girava in una pagina terribilmente bianca. “Cazzo”, si disse John e decise per quella fottuta doccia. Gli avrebbe rinfrescato il cervello e avrebbe permesso a quei cazzoni di internet di risolvere, nel mentre, tutto. L’acqua non gli schiarì le idee circa il sesso con Alice. Dopo le birre ricordava molto poco. Quindici. Era il numero esatto delle bottiglie. Forse troppe per ricordare e decisamente troppe per scopare. Si infilò l’accappatoio, uscì dal bagno e raggiunse la sua camera. “Provo con il computer”, si disse mentre si accendeva una sigaretta. Il computer era sempre acceso sulla pagina di Madeline Ferdine nota come Mamafè, una biondina con un culo splendido con molti follower su Instagram, facebook e twitter. Ogni tanto mostrava le cosce e faceva l’occhiolino. E tutti a mettere “mi piace”, “ritwittate” e cuoricini su Instagram. Una foto con il suo culo vicino ad un ombrellone raggiunse vette sublimi: oltre 12.000 “mi piace”. “Queste sono le cose importanti”, pensava John mentre accedeva a facebook. Niente. La solita rotellina. provò al cellulare con WhatsApp. Niente. Rotellina. Messenger: rotellina. Twitter: rotellina. “Fanculo, fanculo, fanculo” urlò John. Poteva scegliere un sms ma, ormai era considerato una cosa per vecchi e Alice non leggeva gli sms. “Cazzo faccio?” Era arrivato all’ultima spiaggia: telefonare. Cercò Alice – la prima tra i preferiti – e cliccò con il dito, nervosamente, sulla faccina sorridente di un’Alice che mostrava sotto il collo il tatuaggio di “Marlene”, il Dio dell’amore, così dicevano in fondo a quella fottuta via dove abitava Alice. Dalle parti del nulla. Squillò all’infinito quando una voce flebile rispose: “Cazzo vuoi? Perché telefoni? Successo qualcosa?” “Ali, non funziona WhatsApp neppure Messenger e facebook. Insomma, non funziona un cazzo e mi è rimasta la telefonata”. “Ma sei scemo?” urlò Alice. “Mi hai spaventato. Che cazzo vuoi?” “TI volevo chiedere una cosa” “Che cosa?” “Ma noi, dopo le birre, abbiamo fatto sesso?” “Senti John, guarda che sei davvero coglione. Perché non ti leggi il mio diario sulla pagina di Facebook?” “Perché non funziona un cazzo” “Ecco John. Hai colto benissimo il problema” e chiuse. Si alzò quasi angosciato e provò a spegnere e riaccendere il computer. Doveva assolutamente vedere cosa cazzo aveva scritto Alice dopo le 15 birre. Non funzionava. Facebook era sparito. Tutto era sparito. Qualsiasi sito era lì: le news erano lì, i siti delle auto, delle bici, i siti porno tutti perfettamente in ordine. Tranne quello per lui più importante: facebook. Si chiese, a quel punto, cosa potesse fare. Si chiese, a quel punto come potesse continuare la giornata senza poter dire “ciao Ali” alla sua Alice, “ciao stronzo” al suo amico del cuore; si chiese, a quel cazzo di punto, come potesse continuare quella bastarda giornata senza mettere un mi piace sulla pagina di Mamafè, su quella di Richard Person. Come potesse continuare la sua vita senza condividere un appello contro i ciclisti che invadono le strade per auto e senza scrivere a carattere cubitali “fate girare, è una vergogna”. Come cazzo poteva continuare la sua fottuta giornata? Decise che poteva contattare un giornale, scrivere una mail. Questi giornali che danno milioni di notizie, tranne quelle belle e cattive che girano solo su facebook. Quei giornali che nascondono la verità, che non dicono che il terremoto di Los Angeles sarà tra due anni e dovremmo prepararci, che le scie chimiche stanno per invadere la California, che Bush, il Presidente della Repubblica è uno che fa il furbo. Insomma, quei giornali che scrivono pagine fitte di cose che chiamano notizie e nessuno legge più perché sono tutte cazzate. John si avvicinò per la prima volta sul sito del NewYork Times. Lo scrisse quasi con paura quel nome, paura che il suo computer non riuscisse a riconoscere quell’indirizzo. Ci arrivò e sul sito campeggiava una notizia incredibile: “Facebook ha chiuso il sito. Se non ci credete cliccate qui e, soprattutto, fate girare.” John cliccò e scoprì che l’unica cosa che girava era la rotellina su campo bianco. L’ultimo pensiero, prima di farla finita fu: “Ma dopo quelle quindici birre, ci avrò fatto sesso con Alice?” Era il 30 agosto 2002. Quel giorno, in America, per oltre ventidue ore, Facebook si bloccò. Con buona pace per John, Alice, Mamafè e Richard. Possiamo rivelarvi che dopo le quindici birre John si addormentò. E nella fase REM visse questa strana ed incredibile storia.
Ps: per gli internauti. Il 30 agosto del 2002 non accadde nulla di tutto questo da nessuna parte del mondo. Anche perché in quel periodo non esistevano i social e il mondo comunicava con il telefono e qualche sms. Per sapere se dopo le 15 birre fosse successo qualcosa ci si dava appuntamento e ci si guardava negli occhi. E se quella prima volta non era successo nulla si aveva la bella fantasia di riprovarci. Ma non scrivendosi. Toccandosi. Davvero.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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