600 dollari, circa 511,99 euro al cambio odierno per incontrare la morte sperando nel futuro. Questo hanno pagato oltre 368persone, uomini donne e bambini che sono morte nel mare davanti a Lampedusa. Era il 3 ottobre del 2013 e dopo sette anni i ricordi si sono affievoliti e quei morti sono quasi spariti dalle onde della nostra memoria. Siamo portati a stratificare gli eventi e camminare sui ricordi più belli e che ci riguardano. Le cose che accadono diventano e rimangono lontane se non ne siamo coinvolti. Però – ed è un però grande come una nazione – queste morti non sono lontane dalla nostra vita, rappresentano il fallimento dell’accoglienza, del riconoscimento degli individui come “persone”. Queste morti, tra le migliaia che il Mediterraneo si è divorato in questi anni, sono cadute in tempo di pace con numeri che sono di guerra. Una guerra che continuiamo a non voler vedere, una guerra di poveri tra poveri, di gente disperata che prova a raggranellare tutto ciò che possiede pur di fuggire da quel suo mondo gonfio di disperazione. Quei 600 dollari rappresentano l’intera vita e rappresentano tutta la ricchezza che quell’individuo poteva accumulare nell’intera esistenza. Quei 511,99 euro sono il prezzo del nostro disprezzo, della nostra indolenza, del nostro voler volgere lo sguardo sempre da un’altra parte, quasi con fastidio. Non ditemi che occorre aiutarli a casa loro, non urlate “tu cosa fai per loro”. Non occorre. Quei 511,99 euro rappresentano la sconfitta per tutti e di noi tutti. Me compreso. Quella somma rappresenta il nostro non saper soppesare il problema apparentemente semplice ma che non ci interessa risolvere. Per meno della somma di un reddito di cittadinanza abbiamo permesso a quelle 368 persone (e il numero definitivo e reale è sicuramente più alto) di morire nel nostro mare, quello che utilizziamo d’estate per sorridere e scherzare, per costruire i nostri Photoshop ameni da postare sui social. Quel mare che 368 persone non l’hanno visto con la nostra stessa prospettiva e hanno pagato 511,99 euro per morirci. Quel mare ha qualcosa da raccontare. Ci sono troppe persone che aspettano le mosse di un Europa stanca e intimorita, lenta e inconsistente davanti ad una realtà che dovremmo cominciare ad analizzare seriamente. Son passati sette anni e sembra non sia successo niente. Meglio: la situazione è soltanto peggiorata. E non ci facciamo, da uomini, una gran bella figura.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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