La canzone del maggio è un’icona di lotta e di amore. Una canzone dolcissima e struggente che celebra il maggio francese del 1968 ma serve, ancora, per ricordare e ricordarci le molte cose non modificate. Abbiamo, negli anni, avuto paura di guardare e abbiamo – troppe volte, forse – chinato il mento. Ci siamo appollaiati dentro piccole sicurezze e le nostre millecento (in senso metaforico) sono state risparmiate. Quante volte abbiamo detto – e continuiamo a dirlo – che non sta succedendo niente, che in fondo quattro ragazzi che inneggiano al duce non possono modificare il corso della storia, che tutto questo – magari – è solo un gioco al quale avremmo giocato poco. Ed invece. Certo, da quel 3 maggio 1968 quando partì, sulle strade di Parigi, il maggio francese ne è passato di tempo. Chi ha “fatto il 68” ormai ha abbondantemente dimenticato quella voglia di cambiare il mondo, quella strana sete di libertà. Ma anche chi, come me, ha vissuto il 77, ha in buona misura annacquato quella speranza di seppellire tutto con una risata e non siamo riusciti – diciamolo, per favore – a portare la fantasia al potere perché molti di noi che il potere lo hanno raggiunto son riusciti – diciamo anche questo, per favore – a modificare gli assetti ideologici e anziché colorare il mondo hanno preferito dipingere il loft nel centro di Milano o di Roma. Sono loro, quindi, ad aver chiuso le loro porte sul nostro muso, hanno lasciato che tutte le ingiustizie che si volevano eliminare continuassero impunemente. Hanno lasciato – e non in buonafede – che gli ultimi continuassero ad essere massacrati sui marciapiedi. Ed oggi, dentro questa infinita disillusione, dentro la fine di tutte le ideologie, dentro la noia che ha inglobato la vecchia rabbia sembra che tutto sia rimasto come ieri, perché è stata votata ancora la sicurezza e la disciplina. Ecco la verità che ci portiamo dietro e abbiamo paura di mostrare: abbiamo avuto paura di cambiare. Da quel 3 maggio 1968 sono passati 51 anni. Una vita. Eppure, a pensarci bene De André aveva ragione: per quanto ci si possa sentire assolti siamo per sempre coinvolti.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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