Ed è proprio il caso di festeggiare con un brindisi, facendo tintinnare i nostri flûte effervescenti, perché il signore in questione, ideò un metodo per la “creazione” di spumanti che accorciava i tempi e il lavoro che stavano dietro al metodo fino ad allora utilizzato, il metodo classico o champenoise.
Enologo piemontese, direttore dell’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti, cura il restyling per l’attrezzatura del laboratorio e studia il metodo per la rifermentazione dello spumante in recipienti ermeticamente chiusi (autoclavi) a temperatura controllata e non in bottiglia come nel metodo tradizionale. Si dovrà aspettare qualche anno per vedere brevettata anche l’attrezzatura apposita per il metodo sperimentato con successo, nel 1910 il francese Eugène Charmat porta a compimento tutto l’ambaradan necessario per produrre lo spumante come lo aveva immaginato e creato Martinotti. Da questo momento il brevetto titolerà ai due studiosi “metodo Martinotti-Charmat”, o anche solo Martinotti o solo Charmat, come due separati in casa.
Cos’è lo spumante quale che sia il metodo di rifermentazione utilizzato? Un vino assemblato (cuvée), che prevede appunto due fermentazioni, la prima quella che subiscono tutti i vini per diverse settimane fino alla trasformazione dei loro zuccheri e una seconda in ambiente pressurizzato: autoclave per il metodo Martinotti, in bottiglia per il metodo champenoise. Questa seconda fermentazione serve per produrre anidride carbonica che verrà trattenuta nel vino, le nostre amate bollicine che tutte in fila una a una creano una sorta di collana di perle (perlage) dal fondo del bicchiere, risalgono in superficie. Quelle che creano la briosa spuma, da cui spumante.
Con l’idea dell’enologo italiano, si parla di un’attesa più breve che va da uno a sei mesi, per questa seconda fermentazione, dopodiché lo spumante filtrato da residui, viene imbottigliato e pronto per essere bevuto.
Qual è stata quindi la rivoluzione? Solo a leggere tuuuutte le fasi che compongono il metodo tradizionale, vi ubriacherete di sicuro. Il lungo e paziente lavoro del metodo classico, inizia con l’imbottigliamento dei vini assemblati e l’aggiunta di lievito e zuccheri, inizia la fase del tiraggio o meglio per dirla alla francese tirage, la prima tappa per la rifermentazione in bottiglia. Da qui seguono tuuutta una serie di operazioni: – “mise en bouteille” – “prise de mousse” – “maturation sur lies” – “remuage sur pupitres”: la fase in cui le bottiglie vengono ruotate e inclinate giorno per giorno per far depositare la feccia facendola defluire sempre più verso il collo della bottiglia. Prima un lavoro che si faceva a mano, ora da appositi macchinari. Proseguiamo: – “degorgément” – “addition de la liqueur d’expédition” – “bouchage définitif” – “habilage”
Ubriachi? Aspettate perché ora siamo pronti per bere finalmente e sono passati solo per il riposo, dai 6 ai 30 mesi.
Il metodo classico quindi, come nasce e come nasce lo spumante? Esclusa l’ipotesi che già i romani conoscessero la tecnica, si narra di un giovane monaco Pierre Pérignon che come tutti i monaci ne sapevano due strisce di alcool, si trovò a gestire monastero di Saint-Pierre di Hautvillers e relative vigne, del resto proveniva da una famiglia di viticoltori. La scoperta della rifermentazione non è certa, molto probabile una casualità, un errore dai meravigliosi risultati. È quasi sicuro invece che il monaco scelse i vitigni più adatti per creare questo nettare spumeggiante, i tre principali che caratterizzano ancora oggi lo champagne: chardonnay, pinot noir e pinot meunier. Ed è a lui che viene dedicata l’etichetta dello champagne più champagne di tutti: il Dom Pérignon prodotta da Moët et Chandon.
Champagne, non solo il titolo della canzone del nostro Peppinone nazionale, ma il primo spumante della storia prodotto appunto con il metodo classico i cui vigneti sorgono nella zona nord orientale della Francia, la Champagne-Ardenne, mentre gli spumanti cugini, realizzati anch’essi col metodo champenoise, ma provenienti da vigneti di altre zone, sono conosciuti con il nome di Crémant. Così era denominato anche il Franciacorta prodotto in Italia. Che possa o no mantenere tale nome, è questione legislativa e ingarbugliata, se volete approfondire potete farlo qui, io devo concludere il discorso.
Col metodo Martinotti avremo vini acidi quindi freschi, fruttati e leggeri, ideali per gli aperitivi e provenienti da tre vitigni principali: Moscato, Glera e Malvasia. Esempi pregiati di questa vinificazione sono l’Asti DOCG e il Prosecco. Ma anche un vino popolare facente parte dei vini frizzanti, come il Lambrusco. Vini frizzanti e spumanti sono due cose distinte eh! Lo sapete, no?! Anche per legge. I primi ad esempio hanno una quantità di anidride carbonica che li pone a metà strada tra un vino fermo e uno spumante. Lo spumante è tale se tra le altre cose, ha un livello minimo di anidride carbonica di 3 bar.
Ora siete pronti per un brindisi, che sia in un flûte, in coppa o in semplice calice, a seconda di quanta anidride carbonica vogliate far gustare a nari e papille, lasciatevi avvolgere in una degustazione che coinvolge tutti i sensi, compreso l’udito. Oppure se volete coinvolgere il tatto in maniera importante, fate come Dita Von Teese e immergetevi nel liquido paglierino in una mega coppa. Poi però spiegate ai vostri partner che si tratta di una degustazione a tutto tondo.
Sparo pixel alla rinfusa, del resto sono nata sotto un palindromo (17-1-71), non potevo che essere tutto e il contrario di tutto. Su una cosa però non mi contraddico «Quando mangio, bevo acqua. Quando bevo, bevo vino» (cit. un alpino)
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