Io quelle lacrime ancora me le ricordo. Era la fina di un’epoca, in politica un’era geologica. Dopo sessantanove anni veniva a mancare il Partito Comunista Italiano, dissoltosi a a Rimini nel XIX e ultimo congresso. Era il 3 febbraio 1991 quando con 807 voti favorevoli, 75 contrari e 49 astenuti si deliberò lo scioglimento del più grande partito comunista occidentale e la nascita del Partito Democratico della Sinistra. Quelle lacrime me le ricordo. Erano di tensione, di paura, di curiosità forse, ma erano lacrime vere. Non solo quelle di Occhetto ma di tutti quelli che avevano creduto, per dirla pasolinianamente, nel “sogno di una cosa”. Una cosa che formalmente non prese mai il potere ma fu autorevole in molti passaggi di quella tanto vituperata prima Repubblica che, a guardarla oggi, sembra essere un monumento di democrazia. C’erano le lacrime e i pugni verso il cielo, c’era la classe operaia che non era riuscita ad andare in paradiso ma aveva ottenuto molte conquiste che oggi, quasi quotidianamente, vengono rimpicciolite con il ricatto del mantenimento del posto di lavoro. Me li ricordo quegli occhi forti e quelle mani nodose e abbronzate che la domenica, ai giardini di Alghero, vendevano l’Unità e si impegnavano nella feste di settembre tra panini e salsicce, tra dibattiti e Inti-Illimani. Me la ricordo quella festa piccola, vera, quasi minimalista, quei libri improbabili e bellissimi venduti anche a rate: dal capitale di Marx alla vita di Lenin. Libri che nessuno – neppure io – si sognava di leggere ma molti si vantavano di conoscere a memoria. Me lo ricordo Occhetto e il giovane D’Alema (si, proprio lui) che presentarono la mozione vincente contro quella capeggiata da Bassolino e quella che, invece, continuò il sogno di una rifondazione comunista con Ingrao e Cossutta. Me li ricordo i silenzi e quella camminata in un deserto sconosciuto tra i cattolici, socialisti, liberali, repubblicani provando a diventare socialdemocratici, che giusto qualche anno prima era considerato un disonore. Era il 3 febbraio 1991 e io, quel giorno, pensai a Gramsci, a Berlinguer e agli Inti-illimani. Avevo capito che per tutti, lentamente, ci sarebbe stata una rimozione. E infatti tutto si è modificato. Abbiamo osannato Jovanotti, poi Fedez e J-Ax. Di chi ha sostituito Gramsci e Berlinguer non parlo. Socchiudo gli occhi e lentamente passa quella musica andina forte e coinvolgente e un po’ noiosa, come la apostrofava Lucio Dalla. E’ bello, in silenzio gridare (ma sottovoce): “El pueblo unido, jamas sarà vencido”.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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