Il 3 aprile del 1990 iniziava un lungo dibatitto in Parlamento che avrebbe portato, il 9 ottobre del 1990, all’emanazione di quella che sarebbe diventata la Legge sulla disciplina degli stupefacenti e che ancora oggi, seppure con alcune importanti modifiche, è in vigore. In quel periodo (sono passati 28 anni e sembra un secolo) ci si arrovellava su come punire non tanto lo spacciatore (sul quale vi era un sostanziale accordo) ma su come trattare il consumatore, il malato, il tossicodipendente. La discussione in Parlamento andava avanti a colpi di emendamenti e il 3 aprile del 1990 erano già 725 presentati soprattutto dalle opposizzioni di sinistra. L’approvazione della Legge, fissata per il 5 aprile, era chiaramente destinata a slittare. C’era al governo il pentapartito e il presidente del Consiglio era Giulio Andreotti che aveva sostituito Ciriaco De Mita che, a sua volta, aveva scalzato Giovanni Goria, democristiano dall’animo puro e docile. Proprio Goria provò a rivedere le carte in tavola che, insieme all’allora deputato Dc ed ex calciatore Gianni Rivera contestavano lo spirito adatto e la maggioranza rischiava di saltare. Il problema, all’interno della democrazia cristiana era cocente: la chiesa, attraverso il cardinale Silvo Oddi, affemava a gran voce che il drogato non andasse punito, ma doveva essere curato. Stesse parole utilizzate da Padre Eligio che da alcuni anni aveva costituito l’associazione MondoX, alla ricerca, appunto, dell’uomo. Sulla non punibilità del tossicodipendente si giocava, allora, una partita molto forte e se all’interno della maggioranza le acque erano molto agitate tra le opposizioni di sinistra lo scontento era al massimo. Moltissimi gli emendamenti del Partito comunista italiano, di Democrazia proletaria e dei radicali. Quel giorno, il vice capo gruppo del Pci, Luciano Violante, ebbe a dichiarare che: “Quando su un punto ritenuto qualificante, una maggioranza scrive ben cinque testi diversi, vuol dire che è il punto stesso, quello della punibilità a non funzionare. Ogni volta che si restringe una libertà personale”, precisò Violante, “il nostro ordinamento prevede il diritto alla difesa e alla decisione del magistrato si deve poter ricorrere in appello e in Cassazione. Come si deve poter ricorrere nei confronti del prefetto al Tar e al Consiglio di Stato. Non è lecito evitare queste misure di garanzia.” Anche i radicali combattevano l’approvazione della legge e in questo clima di incertezze e polemiche feroci, precedeva il dibattito in aula. Il ministro dell’ interno Antonio Gava parlava di strategia globale, e sottolineava lo sforzo contenuto nella legge di adeguare le strutture pubbliche ai problemi posti dalla droga. Ho voluto ricordare questo episodio per due motivi: il primo legato al problema della tossicodipendenza ancora non risolto ma che nel corso degli anni ha ottenuto attenzioni diverse ed è stato superato il passaggio che voleva la punizione (e quindi il carcere) per chi faceva uso personale di sostanze stupefacenti. Il secondo motivo è sui lavori parlamentari, sempre molto interessanti nell’interno di una dialettica democratica. Ci si confrontava, anche in maniera aspra e si provava a trovare una soluzione. Un buon auspicio per il Parlamento che sarà.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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