È l’una di notte a Roma e nel quartiere Trieste, in via Pola, c’è il deserto. C’è un silenzio quasi irreale a quell’ora ed è proprio grazie all’assenza di rumori che un metronotte si accorge dei lamenti strazianti che provengono dal cofano di una Fiat 127 bianca parcheggiata davanti a una pizzeria. Quando gli agenti della Polizia forzano quel cofano si trovano davanti a due occhi nei quali sono raffigurate 36 incancellabili ore di violenza. Lo sguardo terrorizzato è di Donatella Colasanti e accanto a lei giace, accovacciato, il cadavere dell’amica Rosaria Lopez. Lo sconquasso interiore, la devastazione emotiva e fisica della ragazza ce li consegneranno i TG del periodo, in un tour de force di immagini e testimonianze dal quale saremmo voluti scappare il più lontano possibile.
Rosaria è una barista di 19 anni e Donatella una studentessa di 17 vengono abbordate da due giovani all’uscita di un cinema e con loro scambiano quattro chiacchiere. Come accade in qualsiasi cinema d’Italia e in qualsiasi amicizia che pare scavare le fondamenta prima di edificare la sua struttura. Gianni Guido e Angelo Izzo sembrano due giovanotti di buona famiglia, all’apparenza hanno modi gradevoli, educati e rassicuranti che convincono le due ragazze a raccogliere l’invito per una festa che si terrà l’indomani a Lavinio, frazione di Anzio, nella villa di un terzo amico: Andrea Ghira.
Loro accettano entusiaste, accolgono l’invito col cuore carico di aspettative, ignare dell’inferno che le attende.
Quei ragazzi, che sembrano per bene, sono dei pariolini fino in fondo ed essere pariolini in quegli anni significa politica. Significa Nero. Significa fascista. Significa che quei tre farabutti, uno già con pesanti precedenti penali ma inspiegabilmente libero, sono intrisi dal mito del superuomo, inzuppati di classismo e risoluti nella convinzione che la donna di ceto sociale inferiore sia un oggetto da umiliare liberamente e sfruttare sessualmente.
Le due ragazze non lo sanno, ma sarà questo l’obiettivo della festa.
Nella villa viene allestito un mondo spoglio, dove le strade intorno sono deserte e le stanze troppo grandi per soli cinque partecipanti. Dentro le cui pareti rimbomba esclusivamente l’eco di pugni, calci, grida e disperate richieste d’aiuto. Donatella Colassanti in seguito non riuscirà neppure a descrivere la brutalità degli abusi subiti. Racconterà che erano state rinchiuse in bagno e poi portate in salotto, a turno. A turno picchiate e sfruttate. A turno avevano subito lo sfogo delle perversioni dei tre.
Trentasei ore di terrore nella villa di San Felice Circeo, di botte, randellate, stupri. Ma anche di paura, freddo e abbandono, di torture morali, fisiche e sessuali. Chiuse in un bagno, nude e intirizzite, senza cibo, avvinghiate nel dolore fino alla fine. Rosaria morirà affogata nella vasca da bagno, Donatella si fingerà morta per vivere.
Sono state scritte oltre mille pagine di istruttoria per ricostruire nei dettagli quel delitto e, per l’atrocità delle sevizie inferte, sarà destinato a restare fra i più criminali e spaventosi della storia. Ma lo sguardo straziato, catturato dal reporter all’apertura del cofano, racconta molto più di quelle mille pagine.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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