Con Salvatore Morittu ci incontrammo la prima volta, credo nel 1986, all’Asinara. Doveva effettuare un colloquio con un ragazzo che voleva fare ingresso nella sua comunità. La prima cosa che mi colpì fu il saio. Difficilmente avrete modo di incontrare Salvatore in abiti “civili”. Sono cresciuto con i francescani del S.S. Rosario ad Alghero ed ero abituato ai frati con il saio ma lui, Salvatore, ha un modo veramente molto singolare di indossarlo: con estrema gioia. Fu questa singolare considerazione che mi “costrinse” ad occuparmi di lui e del suo mondo, di quella che era una giovanissima comunità di recupero per ragazzi tossicodipendenti. La sua pacatezza, il suo sorriso e la sua determinazione fecero il resto. Personalmente ero piuttosto critico sul cammino delle comunità di recupero in generale. Non c’era una legislatura chiara e alcuni responsabili proponevano percorsi non sempre lineari e dettati da una certa approssimazione. Salvatore mi colpì perché lui, a differenza di altri, non effettuava colloqui con molti detenuti che a quei tempi chiedevano di lasciare il carcere per provare la comunità. Veniva all’Asinara per sentire un solo detenuto con il quale trascorreva insieme qualche ora. Era esigente ed attento. Aveva un bel modo di proporre le cose e una sicurezza che conquistava. Non ci fu in quel periodo una grande frequentazione, anche perché lavorare all’Asinara era piuttosto impegnativo e non c’era molto tempo per seguire i percorsi di Salvatore Morittu e della sua comunità occupato com’ero nella mia quotidianità di educatore all’interno del penitenziario, però osservavo con curiosità, interesse e con una certa discrezione il suo impegno certosino che utilizzava nell’effettuare i rari ma intensi colloqui con dei detenuti che, in alcuni casi, riuscivano a varcare i cancelli della sua comunità: S’aspru, in agro di Siligo. Il mio, nonostante le remore sulle comunità era un giudizio positivo, soprattutto sull’uomo. Ci ritrovammo dopo quasi un decennio ad Alghero. Il penitenziario dell’Asinara era stato chiuso e io lavoravo in un contesto molto più raccolto e sostanzialmente diverso: il carcere di Alghero. Non furono molte le occasioni d’incontro anche perché in quel periodo ad Alghero erano solo poche decine i detenuti tossicodipendenti, però in un’occasione mi comunicò di aver aperto una piccola comunità per malati terminali di Aids e mi invitò a visitare quella che lui chiamava “casa famiglia”. Fu l’occasione per fare un piccolo bilancio dalla parte degli ultimi: ci scambiammo le sconfitte, le delusioni, le piccole gioie di un mondo molto complicato e di difficile lettura. Presentai due libri nelle sue comunità insieme al gruppo musicale degli Humaniora e mi invitò presso la casa famiglia in occasione della giornata internazionale sull’Aids. Ebbi modo di poter leggere un piccolo racconto che avevo scritto su un detenuto dell’Asinara malato terminale ma con una grande voglia di vivere addosso. Dopo la serata ci recammo a cena. Fu una vera folgorazione. Scoprii in quell’occasione un nuovo Salvatore Morittu: buon affabulatore, bravissimo nel raccontare e ricordare molti passaggi della sua lunga esperienza e testimonianza di vita. Un giorno mi chiese:“Perché non vieni con me a Gerusalemme?” Ho subito capito che non potevo e non dovevo sottrarmi a questa richiesta. Mi affascinava l’idea di poter vedere i luoghi per i quali avevo utilizzato le parole con gli occhi però di Salvatore. “Gerusalemme è un luogo da esplorare. Ci devi camminare dentro per capire le sue contraddizioni”. Aveva ragione. Ho visitato molte città ma nessuna in nessun luogo ha i colori netti di Gerusalemme e nessuna in nessun luogo ha i luoghi sfuocati e indistinti come Gerusalemme. Nessuna ha le sue contraddizioni, le sue incongruenze, i suoi mercati e le sue sofferenze. Gerusalemme è, davvero, il crocevia del mondo, adatto a tutte le anime, Gerusalemme è il punto di partenza di un’immensa porzione di storia. E di leggende. Gerusalemme è la città ideale per chi fugge e chi si rifugia, per chi arriva e per chi parte. Ma anche per chi resta. Così come tutti i luoghi della terra santa che ho visitato insieme alla guida appassionata e mai banalmente bigotta di Salvatore: il Getzemani il luogo dove lui ha pregato nel silenzio totale cercando un Dio che pareva non rispondere, Betlemme con le sue lunghe strade gonfie di gente e di infinite colorazioni; quel muro davvero vergognoso che ancora divide le coscienze. Ho capito, in quel viaggio, cosa significa essere ultimi e stare dalla loro parte. Quel camminare sulla terra aspra e sola mi è servito per comprendere tutti i gesti e le parole che Salvatore Morittu ha disegnato nel corso del suo cammino che, per fortuna non si è ancora concluso. Ho capito quell’amore forte per la terra, quel riuscire a sentire dove nessuno riesce a captare il rumore, quel saper restituire anche a chi non ha mai chiesto esplicitamente nulla. Salvatore ha però un difetto, per me quasi imperdonabile: da piccolo ha avuto paura del mare. Però, negli anni ha rimediato: “Sono sardo e un po’ diffidente, ma se San Francesco aveva ringraziato il Signore per sora acqua dovevo per forza fidarmi. Oggi amo moltissimo quel mare che ci unisce e ci divide”. Ecco. Questo è, almeno in minima parte Padre Salvatore Morittu di Bonorva. Acqua forte che non tracima ma, lentamente ti accompagna. Oggi, quest’uomo con il saio ha compiuto i suoi primi settant’anni. Auguri. Di cuore.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design