Il 29 settembre del 1946 nasceva un piccolo grande uomo: Salvatore Morittu. La cosa curiosa è che il 29 settembre sono nati anche Silvio Berlusconi e Pierluigi Bersani. Nella vita si sceglie e io, chiaramente ho scelto un frate francescano con il quale ho condiviso un piccolo pezzo di vita. Quella che segue è la postfazione al libro “gli ultimi sognano a colori” e racconta la storia di un incontro felicissimo ed intenso.
Con Salvatore Morittu ci incontrammo la prima volta, credo nel 1986, all’Asinara. Doveva effettuare un colloquio con un ragazzo che voleva fare ingresso nella sua comunità. La prima cosa che mi colpì fu il saio. Difficilmente avrete modo di incontrare Salvatore in abiti “civili”. Sono cresciuto con i francescani del S.S. Rosario ad Alghero ed ero abituato ai frati con il saio ma lui, Salvatore, ha un modo veramente moto singolare di indossarlo: con estrema gioia. Fu questa singolare considerazione che mi “costrinse” ad occuparmi di lui e del suo mondo, di quella che era una giovanissima comunità di recupero per ragazzi tossicodipendenti. La sua pacatezza, il suo sorriso e la sua determinazione fecero il resto. Personalmente ero piuttosto critico sul cammino delle comunità di recupero in generale. Non c’era una legislatura chiara e alcuni responsabili proponevano percorsi non sempre lineari e dettati da una certa approssimazione. Salvatore mi colpì perché lui, a differenza di altri, non effettuava colloqui con molti detenuti che a quei tempi chiedevano di lasciare il carcere per provare la comunità. Veniva all’Asinara per sentire un solo detenuto con il quale trascorreva insieme qualche ora. Era esigente ed attento. Aveva un bel modo di proporre le cose e una sicurezza che conquistava. Non ci fu in quel periodo una grande frequentazione, anche perché lavorare all’Asinara era piuttosto impegnativo e non c’era molto tempo per seguire i percorsi di Salvatore Morittu e della sua comunità occupato com’ero nella mia quotidianità di educatore all’interno del penitenziario, però osservavo con curiosità, interesse e con una certa discrezione il suo impegno certosino che utilizzava nell’effettuare i rari ma intensi colloqui con dei detenuti che, in alcuni casi, riuscivano a varcare i cancelli della sua comunità: S’aspru, in agro di Siligo. Il mio, nonostante le remore sulle comunità era un giudizio positivo, soprattutto sull’uomo. Ci ritrovammo dopo quasi un decennio ad Alghero. Il penitenziario dell’Asinara era stato chiuso e io lavoravo in un contesto molto più raccolto e sostanzialmente diverso: il carcere di Alghero.Non furono molte le occasioni d’incontro anche, perché in quel periodo ad Alghero erano solo poche decine i detenuti tossicodipendenti però in un’occasione mi comunicò di aver aperto una piccola comunità per malati terminali di Aids e mi invitò a visitare quella che lui chiamava “casa famiglia”. Fu l’occasione per fare un piccolo bilancio dalla parte degli ultimi: ci scambiammo le sconfitte, le delusioni, le piccole gioie di un mondo molto complicato e di difficile lettura. Presentati due libri nelle sue comunità insieme al gruppo musicale degli Humaniora e mi invitò presso la casa famiglia in occasione della giornata internazionale sull’Aids. Ebbi modo di poter leggere un piccolo racconto che avevo scritto su un detenuto dell’Asinara malato terminale ma con una grande voglia di vivere addosso. Dopo la serata ci recammo a cena. Fu una vera folgorazione. Scoprii in quell’occasione un nuovo Salvatore Morittu: buon affabulatore, bravissimo nel raccontare e ricordare molti passaggi della sua lunga esperienza e testimonianza di vita. Dopo qualche mese fui trasferito a Cagliari. Lo andai a trovare in quella che è stata la sua prima comunità, all’interno di San Mauro, nel quartiere di Villanova e subito mi mostrò i luoghi dove tutto era cominciato, stando sempre attento nel riferire i particolari. Gli chiesi, quasi a bruciapelo: “Ma perché non la raccontiamo la tua storia?” Disse subito di si, fidandosi incredibilmente di me ma ponendo subito dei ferrei paletti: “Vorrei raccontare non la mia storia, ma le storie che mi hanno arricchito e che ho incrociato sulle strade della mia esistenza”. Siamo partiti, dunque, con un piccolo zaino a cercare queste storie tra le strade che Salvatore ha finora percorso. Mi ha costretto a leggere gli scritti di San Francesco d’Assisi e ho scoperto che non esiste solo la regola e il cantico delle creature e l’amore per gli ultimi. Ho capito che, in fondo, tutto il nostro impegno, il nostro voler metterci a disposizione di qualcosa o di qualcuno, sorridere anche nelle difficoltà è dovuto anche a San Francesco. Il mondo ha colori diversi grazie alle sue parole. Ho poi scoperto un grande libro che tutti abbiamo all’interno delle nostre abitazioni ma nessuno riesce mai a leggere sul serio. Ho passeggiato con Isaia, riletto con più attenzione la Genesi, il libro dei Maccabei, quello di Siracide e della Sapienza. Ho contemplato e ammirato la bellezza del libro dei Salmi. Ho capito che dalla Bibbia non si sfugge: prima o poi ci devi fare i conti. E con il deserto. Ecco, se c’è una cosa che mi ha trasportato tra l’angoscia di un silenzio totale e la bellezza della mancanza di ogni perturbazione sonora è il deserto che Salvatore Morittu racconta con infinita densità d’animo. Però certi passaggi occorre anche vederli e viverli. Ecco che tutte le parole ascoltate, le sensazioni ricevute sono divenute colorazioni con mille sfumature nella tela del racconto quando quel deserto l’ho toccato con mano. “Perché non vieni con me a Gerusalemme?” Quando Salvatore me lo ha chiesto ho capito che non potevo e non dovevo sottrarmi a questa richiesta. Mi affascinava l’idea di poter vedere i luoghi per i quali avevo utilizzato le parole con gli occhi però di Salvatore. “Gerusalemme è un luogo da esplorare. Ci devi camminare dentro per capire le sue contraddizioni”. Aveva ragione. Ho visitato molte città ma nessuna in nessun luogo ha i colori netti di Gerusalemme e nessuna in nessun luogo ha i luoghi sfuocati e indistinti come Gerusalemme. Nessuna ha le sue contraddizioni, le sue incongruenze, i suoi mercati e le sue sofferenze. Gerusalemme è, davvero, il crocevia del mondo, adatto a tutte le anime, Gerusalemme è il punto di partenza di un’immensa porzione di storia. E di leggende. Gerusalemme è la città ideale per chi fugge e chi si rifugia, per chi arriva e per chi parte. Ma anche per chi resta. Così come tutti i luoghi della terra santa che ho visitato insieme alla guida appassionata e mai banalmente bigotta di Salvatore: il Getzemani il luogo dove lui ha urlato nel silenzio totale cercando un Dio che pareva non rispondere, Betlemme con le sue lunghe strade gonfie di gente e di infinite colorazioni; quel muro davvero vergognoso che ancora divide le coscienze. Ho capito, in quel viaggio, cosa significa essere ultimi e stare dalla loro parte. Quel camminare sulla terra aspra e sola mi è servito per comprendere tutti i gesti e le parole che Salvatore Morittu ha disegnato nel corso del suo cammino che, per fortuna non si è ancora concluso. Ho capito quell’amore forte per la terra, quel riuscire a sentire dove nessuno riesce a captare il rumore, quel saper restituire anche a chi non ha mai chiesto esplicitamente nulla. Salvatore ha però un difetto, per me quasi imperdonabile: da piccolo ha avuto paura del mare. Però, negli anni ha rimediato: “Sono sardo e un po’ diffidente, ma se San Francesco aveva ringraziato il Signore per sora acqua dovevo per forza fidarmi. Oggi amo moltissimo quel mare che ci unisce e ci divide”. Ecco. Questo è, almeno in minima parte Padre Salvatore Morittu di Bonorva. Acqua forte che non tracima ma, lentamente ti accompagna. Mi ha dipinto come una persona curiosa che sta alla finestra o, al massimo sull’uscio della porta. E’ sicuramente una delle mie prospettive ma con lui superi qualsiasi ostacolo e sei disposto a percorrere qualsiasi strada. Ha occhi che accompagnano, silenzi che ti avvolgono e il buon Franceso d’Assisi sempre molto vicino. E non è poco. Un giorno, alla fine di una lunga discussione sui matti e sull’importanza della psicologia gli chiesi: “Ma secondo te, cosa sognano i matti?” E lui mi rispose: “Molte cose. La cosa più bella è che sognano sempre a colori. Come gli ultimi”. Mi pareva una bella risposta. Un bel titolo per un libro.
Oggi è il suo 71 compleanno e mi piace, pensando a colori, che sono soltanto 71 primavere. Alle prossime.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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