Il salto triplo è come l’allineamento dei pianeti. E’ una forma di perfezione ad incastro, dove tutto deve tornare nel punto e al momento giusto, e dove solo la coincidenza di fattori non sempre prevedibili produce il capolavoro, la grande prestazione. Quel giorno Joao “do Pulo” Carlos de Oliveira, il primatista del mondo, si rese conto di aver azzeccato tutto. Atterrò lontano, forse oltre i 18 metri, forse un nuovo record del mondo. Ma quelle di Mosca, del 1980, erano olimpiadi strane, molto strane, incattivite dal pretestuoso boicottaggio dei paesi occidentali, che la resero “dimezzata”. E in quelle pessime olimpiadi, come in quelle successive di Los Angeles (chi la fa l’aspetti), spesso lo sport perse terreno dietro gli interessi della politica e della propaganda. De Oliveira sfidava, a Mosca, il più grande saltatore di triplo di tutti i tempi, il russo Saneev. Che però aveva 35 anni, aveva già vinto tre olimpiadi, ed era anche un po’ acciaccato. Che però era l’idolo di casa. La folla trepidava per lui. Fu una gara strana, dichiarò, anni dopo, il campione russo ricordando quegli eventi. Molto più in forma il brasiliano dal fisico statuario, vero grande talento di madre natura, che alla precedenti olimpiadi era stato bloccato da un infortunio, accontentandosi, da favorito, della terza piazza; in declino invece, il russo, che basava la sua forza nella perfezione tecnica del gesto. Ma in testa alla gara c’era un altro sovietico di origine estone, Uudmae, accolto tuttavia con freddezza dal pubblico che stravedeva, invece, per il suo idolo, che era secondo. Poi il balzo di De Oliveira: il primo “hop” ampio e circolare, lo “step” lunghissimo, infine il “jump” a volare lontano, lontanissimo. Atterrando nella sabbia, Joao Carlos sentì d’aver compiuto il capolavoro della sua vita, di essere andato oltre il suo stesso record del mondo, forse addirittura primo uomo a superare la barriera dei 18 metri. Eppure, qualcosa, in quell’attimo che nella sua mente non scorderà mai, un tarlo, un dubbio, lo attraversò. Attimo per attimo, momento per momento, infine si voltò, e vide il giudice con la bandierina rossa alzata. Salto nullo. Controllò l’asse di battuta: era buono, nessun segno del suo piede sulla plastilina che segnava il limite. Ma allora? Perché quella bandierina rossa? Il giudice, russo, gli contestò una infrazione cervellotica, la cosiddetta “sleeping leg”, o gamba inattiva, il contatto con il terreno della gamba che non sta effettuando il salto. Una infrazione praticamente inventata, perché quasi mai applicata se non nelle situazioni più evidenti, e regolamentata dalla IAAF, solo successivamente, di fatto abolendola. Anche altri salti del brasiliano furono così annullati, insieme ad alcuni del pericoloso australiano Campbell, che insidiava il podio dei due russi. Tempo dopo, Joao Carlos, che prese sportivamente la sconfitta, confessò di aver pianto, di nascosto, come un bambino. Chissà se quel giorno, guidando l’auto, l’anno dopo, pensava ancora a quell’oro olimpico rubato, quando un ubriaco invase la sua carreggiata e lo investi con un tremendo impatto frontale. Joao Carlos fu tirato fuori in fin di vita, e riuscì a salvarsi. Subi 16 operazioni, ma alla fine, però, gli fu amputata una gamba. Il primo periodo della sua nuova vita, JC sembrò reagire allo strano destino avverso che pareva averlo preso di mira. Vinse le para-olimpiadi e si dedicò con successo alla politica e alla promozione sportiva. Tuttavia, il dubbio, il tarlo che qualcosa nella sua vita non era andato per il verso giusto, cominciò a torturarlo. L’incubo di quella bandierina rossa lo tormentava. Forse era il dubbio che qualcuno, alle sue spalle, fosse pronto a demolire l’esito dei suoi sforzi, alzando, semplicemente, una bandierina rossa, che lo aveva portato alla depressione. Soffocato dalla tristezza e dall’alcool, il 29 maggio del 1999, Joao Carlos del Oliveira, uno dei più grandi talenti dell’atletica leggera di quell’epoca, morì in un letto d’ospedale, a soli 45 anni.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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