Per uno cresciuto a Gilles Villeneuve e Ayrton Senna l’arrivo di Michael Schumacher in Ferrari non fu proprio una grande gioia. Il ragazzotto tedesco, mascella squadrata, inglese eloquente, poco, pochissimo italiano, poca, pochissima empatia non era decisamente il mio tipo. Nonostante la bravura, quei cinque titoli che fecero della Ferrari l’auto dominatrice dal 2000 al 2004, nonostante la sua prima vittoria a Monza, con la Ferrari nel 1996, che pareva avvicinarlo alla passione tutta italiana non mi è mai piaciuto, un po’ come Vettel, Mika Hackkinen e un po’ anche Raikkonen.Forse perché non sono gente di mare, forse perché non avevano la forza di sorridere davvero. Lui, il re, quello che ha vinto tutto, quello che ha incarnato la resurrezione della rossa non è stato il mio idolo. Eppure ho sofferto ad ogni curva, ho provato a comprenderlo quando a Jerez de la Frontera, nel 1997, commise il più grande errore della sua vita sportiva: speronò volutamente Jacques Villeneuve con la speranza che tutto potesse andare a suo vantaggio. Quel giorno barò e fu squalificato, giustamente. E mi arrabbiai moltissimo. Aveva, in qualche modo, sfregiato la Ferrari, aveva lasciato un graffio indelebile. Poi vinse, anche troppo. Nel 2004 pareva quasi noioso vedere un gran premio di formula 1: vinse quasi 11 volte di fila, a parte un ritiro dopo cinque gare. Ecco, Michael non sapeva perdere, non aveva il gusto della sconfitta. Si ritirò una prima volta dalle corse, ritornò per dare una mano alla Mercedes che sarebbe divenuta, anche grazie ai suoi consigli, l’auto che ha dominato negli ultimi anni. Il 29 dicembre 2013, durante una discesa con sci sulle nevi di Méribel, in Franca, Michael cade e batte la testa contro una roccia. Sono trascorsi ormai otto anni e da quel giorno poco si è saputo del grande pilota che riportò a vincere la Ferrari. E’ un lungo gran premio dove spero, un giorno, lui possa tagliare il traguardo. Mi troverà davanti al paddock e con un lieve sorriso gli chiederò scusa. Non sapeva perdere Michael e dunque questa gara la deve vincere. Anche per me.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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