Sono stato a Piazza Loreto alla fine degli anni Novanta. Fino a quel momento nella mia vita era solo un nome storico ed evocativo legato all’esposizione dei corpi di Benito Mussolini e Claretta Petacci. “A testa in giù” si raccontò. Ed è un racconto storico, certificato, reale. “Finirete a testa in giù” fu quasi uno slogan in certi ambienti della sinistra e dell’estrema sinistra negli anni bui del terrorismo. Quei corpi, esposti pubblicamente il 29 aprile del 1945, comunque la pensiate, furono uno scempio, un errore politico, una cattiveria vana o, come la definì Ferruccio Parri, capo del CLN “uno spettacolo da macelleria messicana” mentre Sandro Pertini aggiunse: “A Piazzale Loreto l’insurrezione si è disonorata”. Ci ho pensato molto in questi ultimi tempi a quell’atto estremo definibile populista, giustizialista, osceno e di pessimo gusto. Quel mettere alla gogna un uomo, un dittatore, un imputato che comunque aveva il sacrosanto diritto ad un giusto processo è stato un errore giuridico enorme. L’esecuzione di Mussolini passa in secondo piano davanti alla rappresentazione della sua morte, a quel volerlo esporre “a testa in giù”, così come un pollice verso dell’imperatore nell’arena del Colosseo per decretare la vita o la morte del povero gladiatore di turno. Non occorre essere troppo garantisti o troppo dialoganti e non occorre dire: “era un criminale, una persona esecrabile su tutti i punti di vista” perché non è questo il punto. Mettere a testa in giù il proprio avversario politico, il proprio nemico, il Caino di turno è sempre un errore, in qualsiasi momento storico. Quell’esposizione di un corpo inerme è stato un gigantesco sbaglio e non un monito. Non possiamo condannare i leoni di tastiera che vorrebbero uccidere almeno il cinquanta per cento dell’umanità e poi assolvere quell’atto di una donna e un uomo appesi a testa in giù. È stata una scelta degna dei peggiori fascisti, dei perfidi nazisti e delle loro terribili e vigliacche vendette. Quei corpi avevano il dovere – da vivi – di difendersi dalle giuste accuse. Ho sempre provato molta vergogna nell’affrontare questo argomento. Lo dico dalla sponda di sinistra dove ho abitato e abito e dove ho dovuto dibattere anche animatamente contro chi, invece, ancora giustifica quell’atto e lo circoscrive ad un “contesto storico”.Lo dico da uomo di giustizia e lo dico profondamente convinto che Benito Mussolini fosse colpevole ma meritevole di un giusto processo, opportunità da lui mai attuata nei confronti dei presunti nemici, costretti a marcire in galera attraverso l’attuazione di una sporca giustizia sommaria. Io volevo giudicare il fascista Mussolini e ne volevo la condanna. Non volevo essere come il fascista Mussolini. Piazzale Loreto è andato, purtroppo, nella direzione sbagliata. Ammettiamolo.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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