Alla fine del mese di settembre del 1927, la Russia scopre il “villaggio delle vedove”. A Novaja Laloga, 140 chilometri a est di San Pietroburgo, dove il fiume Volkhov si getta nel Ladoga, il lago più grande d’Europa, abitano solo donne e bambine. Non ci sono uomini. Per meglio dire, non ce ne sono più.
Eppure, dalla guerra, i maschi del villaggio erano tornati. Solo che, una volta restituiti al focolare casalingo, avevano ripreso a ubriacarsi e maltrattare le mogli più di prima, ponendo fine a quel periodo di relativa libertà che le rispettive consorti avevano sperimentato con risultati, evidentemente, soddisfacenti. Insomma, le donne di Novaja Laloga non erano affatto contente del ritorno dei loro uomini in paese.
Per i sessanta reduci di Novaja Laloga, la morte ha un nome e un cognome. Quando fa la sua apparizione nel villaggio, Sophie Safarine ha già ucciso tre volte, come il numero dei suoi mariti. Tutti avvelenati. Colpa del primo consorte; pare fosse un autentico tiranno. Fateli ubriacare, poi berranno il veleno. Il metodo si dimostra infallibile. Gli uomini di Novaja Laloga cadono come mosche e finiscono tutti sottoterra.
Un’inchiesta condotta dalle autorità russe appurò che tutti i mariti erano stati uccisi dalle rispettive consorti, ispirate da Sophie Safarine. Quest’ultima confessò di aver avvelenato, in carriera, trenta uomini, compresi i suoi tre mariti. Di lei non resta traccia. Niente foto né dati anagrafici. Solo una pagina di cronaca nel capitolo “donne che odiano gli uomini” per un capolavoro criminale: una comunità senza uomini.
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