Lasciamo perdere che, inevitabilmente, nella milanese Gazzetta dello Sport Filippo Tortu venga definito “brianzolo”. Lasciamo perdere, anche se Filippo ha più volte dichiarato di sentirsi “sardo”, anche in interviste televisive, al punto da tatuarsela, la piccola inconfondibile sagoma dell’isola, su un fianco. Lasciamo perdere anche se questa cosa mi punge, lo ammetto, più di tutte le volte che definiscono Frankie Dettori, uno dei più grandi fantini di tutti i tempi, “milanese”, anche se figlio del sardissimo Gianfranco da Serramanna, altrettanto grandissimo fantino. E Filippo Tortu, come Dettori, mantiene questo legame paterno con l’isola d’origine, grazie al fatto che, anche tecnicamente, è seguito dal padre Salvino, ex velocista anche lui e originario di Tempio Pausania. Lasciamo perdere questi dettagli da sardo sempre in cerca del piagnisteo, consapevole che per Filippo Tortu, giovane di 20 anni dal grande avvenire sportivo e dalla notevole maturità, la sua rivendicazione di sardo è uno stato dell’anima, non certo una passionalità politica. Mescolare le vicende dello sport con quelle dell’appartenenza identitaria può sembrare così una assurdità, se non fosse che, in fin dei conti, oggi si fa un gran parlare di ius soli, e di gente che per opportunismo politico, parlo ovviamente dei leghisti, ieri sputavano su una bandiera e oggi la esaltano, ma solo per contrapporla magari a chi, anche se di pelle diversa, l’ha sempre amata, quella bandiera. L’identità è dunque uno stato dell’anima, e deriva da una scelta. Quando negli anni ’70 mio padre, dalla grigia e fredda Milano, decise di trasferirsi in Sardegna, lo fece con mia madre, sardissima, e con tutta la famiglia di tre figli. Appena giunto in Sardegna, infatti, fece subito due gesti emblematici, per il suo modo di essere, amante dello sport e dell’aria aperta: l’abbonamento al Cagliari Calcio (che aveva appena vinto lo scudetto), e l’abbonamento alla cabina (o gabbina, come diceva lui) del Poetto. Gesti semplici ma che dirimono una appartenenza, una scelta, uno stato dell’anima. In un certo senso, fece una scelta identitaria. Insomma, io volevo scrivere un pezzo di atletica che parlava di Filippo Tortu, questo fenomeno nascente dello sport, e sono finito a parlare di identità, di appartenenza, di Sardegna e delle solite cose con cui ci ho riempito centinaia di articoli e pure due libri. Atletica amore mio, mi verrebbe da dire, tienimi lontano dalle solite mie tentazioni, portami via da queste fissazioni, da queste ossessioni da antropologo impenitente. Ma in fin dei conti quel fastidio resta, quel Filippo Tortu milanese di nascita ma sardo di sentimenti troppo mi ricorda quel giovanotto anche lui mezzo sardo e mezzo lombardo che, a quell’età, sputava l’anima nelle piste di atletica sognando di diventare un campione. E da antropologo, quel mezzo sardo mezzo lombardo, ma sardissimo di sentimenti, ha finito per appassionarsi alle cose di Sardegna e tifare tutti gli atleti sardi che in questi anni hanno reso onore alla Sardegna, e sempre forza Cagliari, ovviamente. I valori, e i valori dello sport, del sacrificio, del lavoro, si trasmettono sul filo delle generazioni, ovunque si vada. Poi il caso ha voluto che quell’antropologo fissato di identità e altre sarde ossessioni, è finito dalla sua Cagliari a trasferirsi nel nord della Sardegna, a difendere e proteggere per lavoro una terra che è una sola da nord a sud, e manco a farlo apposta proprio in quel di Tempio Pausania, e visto che c’era ci ha fatto due figli, là nel nord Sardegna. Oggi ho assistito al saggio di ginnastica di mia figlia, nella piazza di Tempio Pausania. C’era un fervore colorato dall’emozione di tanti bambini, e anche atleti esperti provenienti da tutta la Sardegna, il tutto grazie all’instancabile lavoro di Sandro, un decano dell’attività sportiva in questa parte dell’isola, e di suo figlio Maurizio. Ecco, tutto questo ripercorrere orme, di padre in figlio, per amore delle generazioni e dello sport, questo inseguirsi di padri e figli sulle tracce dell’allenamento e della speranza, non ha territori né frontiere, ma forse, oserei dire, ha l’amore dell’appartenenza. Ed eleva la nobiltà dello spirito al massimo grado di umanità possibile e immaginabile. Di atletica e di questo straordinario ragazzo, Filippo Tortu, ne parlerò la prossima volta.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo.
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