File: [Paparelli1.jpg] | Tue, 11 Oct 2011 04:38:27 GMT LazioWiki: progetto enciclopedico sulla S.S. Lazio www.laziowiki.org
Il giorno in cui il calcio perse l’innocenza io stavo a casa di parenti, in un posto che si chiama Bassacutena, seduto su una poltrona a guardare la televisione. Naturalmente era una domenica. Domenica 28 ottobre 1979. Avevo otto anni e la faccia di Paolo Valenti mi era già famigliare: quel sorriso bonario, quell’aria paga da giornalista arrivato, benché gli occhi cerchiati e il pallore cadaverico tradissero la stanchezza dell’onesto lavoratore. Credo fosse l’intervallo tra il primo ed il secondo tempo, se male non ricordo Valenti intervenne con un collegamento flash interrompendo la Domenica In di Corrado.
Era il giorno del derby Roma-Lazio. Prima del fischio d’inizio, un razzo nautico partito dalla curva giallorossa attraversò tutto l’Olimpico e raggiunse la curva opposta, conficcandosi nel cranio di Vincenzo Paparelli, tifoso laziale. La moglie, accanto a lui, cercò di strappare dalla testa del marito quel siluro, ma non ci riuscì. Paparelli morì mentre lo trasportavano in ambulanza all’ospedale Santo Spirito e la sua fine coincise con quella dell’innocenza del calcio, perché Paparelli fu la prima vittima dell’era della violenza negli stadi. Il bambino di otto anni che ero trovò, oltre lo schermo, un uomo dal volto conosciuto ma che fino allora non aveva conosciuto veramente. Le notizie erano ancora, come si dice, frammentarie e Paolo Valenti sapeva solo della morte di un tifoso, senza troppi particolari di cronaca. Lo ricordo raccogliere dalla scrivania una penna e poi scaraventarla lontano, in un gesto di rabbia che in quel 1979, in diretta televisiva, pareva inconcepibile anche per un bambino, inadeguato al registro del grande mezzo di comunicazione. “Permettetemi di non dire nulla”, concluse Paolo Valenti, chiudendo il collegamento, senza davvero dire nulla, eppure dicendo tutto con la gravità della sua reazione sgomenta. E mi ricordo tutto questo, del fatto che ascoltassi dalla poltrona della casa di Bassacutena, perché a chiunque fu chiaro che quell’assassinio nello stadio apriva un’era nuova, quella delle città blindate contro la ferocia degli ultrà. Vincenzo Paparelli faceva il meccanico, aveva da poco comprato il tv color e aveva nel garage una Bmw di seconda mano. Entrò allo stadio con un abbonamento prestatogli dal fratello, che quella domenica non volle andare allo stadio e si sentì in colpa per il resto della vita. Il razzo venne scagliato da Giovanni Fiorillo, diciottenne, disoccupato. Fiorillo, compreso quel che aveva combinato, scappò e rimase latitante per quattordici mesi. Telefonando a casa di Paparelli ogni giorno di quei quattordici mesi, per chiedere perdono. Nel 1987 venne condannato per omicidio, ma finì di scontare la pena nel 1993, quando la morte lo colse. Di quel giorno di festa affogato nel sangue a me restano i pochi secondi di rabbia di Paolo Valenti, l’uomo dal sorriso buono della domenica pomeriggio.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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