Diciamocelo: Rocky è un polpettone bellissimo, gonfio di muscoli e lacrime, l’apoteosi di tutto ciò che incarna il vero sogno americano: un italo-americano e dunque uno straniero che non ha mai combinato molto nella vita (come quasi tutti gli stranieri dei film americani) un vecchio allenatore che gli sputa in faccia questo fallimento; un monolocale fatiscente e il lavoro non proprio limpido di esattore per conto di un gangster chiaramente italo-americano. Poi il sogno comincia: un altro italo-americano diventa suo amico. La sorella, invece, bruttina e timida diventa la sua donna: Adriana e quella parola rimarrà nella memoria di tutti, come l’urlo di Tardelli ai mondiali del 1982. Rocky è la polvere che si mangia quando si è ultimi nelle periferie del mondo, la voglia di emergere, la rabbia e la forza di provarci. Fino all’incontro, a quello che ti segna la vita. Perché devi sempre avere da qualche parte una storia da raccontare e non deve essere mai banale. Lo pensa Rocky e lo pensa chi, come lui, vuole dimostrare di valer qualcosa. Poi ci sono i ricchi e i famosi che la polvere l’hanno conosciuta ma se ne sono dimenticati. Come Apollo Creed, lo sfidante di Rocky Balboa. Era una farsa, non si può mai sfidare il destino ma per fortuna che qualcuno di tanto in tanto lo fa. E Rocky ci riesce a rimanere in piedi: non a vincere, sia chiaro. Ma a rimanere orgogliosamente con la schiena diritta dopo 15 terribili round. Perde ai punti ma è lui il vincitore morale: il sogno americano a portata di tutti, anche degli stranieri. Soprattutto degli stranieri. Da piccolo ho amato moltissimo il pugilato: uno sport puro e vero dove la sfida è il gioco perfetto che mescola tutto con la polvere della vita. Il 28 marzo 1977 durante la cerimonia degli Oscar viene attribuita al lungometraggio la statuetta del “miglior film”. Un film americano, pieno di gioie, sconfitte, stranieri e urla di dolore. Può far piangere o ridere, però di tanto in tanto lo riguardo e ammetto che il primo Rocky era davvero un piccolo capolavoro.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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