Avevo quindici anni in quel 28 maggio 1974. Quelle immagini, quelle urla, quella polvere, quel silenzio senza fine lo ricordo ancora come se fosse oggi. Eccezionalmente, l’agenda di oggi è più lunga e contiene una piccola storia tratta da uno spettacolo teatrale titolato “anime in panchina”. Quando ho scritto il testo ho intensamente pensato a quel maledetto giorno. E’ la storia di Livia Bottardi che nel racconto immagino ancora viva, a dialogare con Manlio, marito cocciuto e comunista, combattente vero, presidente dell’associazione vittime della strage di Piazza della Loggia. Il piccolo racconto è dedicato a lui, alle vittime e a tutti noi che aspettiamo ancora una risposta a questa inutile mattanza.
Ho sempre sospettato che Manlio fosse un testone, oggi ne ho avuto la conferma. Di primo mattino, dopo che, a freddo, abbiamo cominciato a sfogliare i quotidiani.“Abbiamo perso” ho detto, con la stanchezza accumulata per la maratona televisiva del giorno prima. “Abbiamo perso perché non ci abbiamo creduto” ha detto.“Abbiamo perso perché lo dicono i numeri e i numeri non sbagliano.”“una volta dicevi che non sempre la maggioranza aveva ragione”“Una volta era diverso. Oggi le ideologie si sono semplificate”.“Sempre brava a correggere le geometrie delle sconfitte. Abbiamo perso perché te e quelli come te avete abbandonato la falce e martello”“No. Abbiamo perso perchè te e quelli come te credono ancora nei simboli. E’ finito Manlio”“No. Dobbiamo ripartire dalla falce e martello. Dagli operai”“E’ finita e sei il solito testone”.Lo vedo che sorride amaro mentre si alza e lentamente si mette la sua giacca di velluto.“Esco. Ho voglia di vedere i miei amici”“Testoni come te”, aggiungo, mentre con la mano fa il gesto consueto, che aspetto e che ripete ogni volta che ha l’umore grigio: pone il suo palmo verticale e, lentamente, chiude il pugno per poi riaprirlo velocemente e, infine tenerlo chiuso, anche quando lo infila nelle tasche.Ha sempre fatto quel gesto. Fin dal 1974. Anzi fu proprio dal 28 maggio 1974 che cominciò a chiudere il pugno in quel modo. Lui dice per un atto di stizza. Credo che fosse, piuttosto, perché quel giorno pioveva e perché, dopo la manifestazione, zuppi di acqua finimmo per litigare. Un po’ per il partito, un po’ per il comizio, un po’ perché lui mi aveva lasciato sola in mezzo a tutta quella folla.Lo ricorda spesso quel giorno. Io, invece tendo a superare quegli attimi. Perché la vita continua e non si ferma dentro simboli e parole. L’ho sempre insegnato ai ragazzi, sino all’ultimo giorno della mia lunga carriera da docente di letteratura italiana: le parole si muovono, non sono statiche. Con le stesse identiche parole si possono comporre diverse frasi alcune bellissime altre orrende. Oppure, con le stesse identiche parole, possiamo innamorarci ma anche dirci addio. Le parole sono terribili. A volte. Ed ora, eccomi qui, ad usare lacrime per una sconfitta che brucia senza trovare le parole adatte alla circostanza.Non posso certamente dire a Manlio che aveva ragione. Sulla sconfitta. Sulla nostra grande sconfitta. I fascisti non ci sono più. Spariti. Come la pioggia che ci avvolgeva il 28 maggio del 1974.Il boato che arriva imprevisto, lacerante. Piazza della Loggia. Era importante partecipare. Che piovesse, nevicasse, che il cielo si squartasse. Ci dovevamo essere.E il cielo, quel giorno, inghiotti le nostre voci, le nostre piccole rivendicazioni, il nostro urlo e le nostre bandiere. Rosse. Decisamente rosse. Fiabescamente rosse.Piazza della Loggia. Che è un ricordo da eliminare. Almeno così la penso io. Ma non Manlio. Lui ha sempre dentro gli occhi quel giorno. Lui dice che selo sente dentro, come un boato lancinante. E dentro il boato ombre che gli passavano davanti. Immaginò per un attimo – ma solo per un attimo – che il corpo che si attanagliava dentro il rumore sordo fosse il mio.Le 10.12 del 28 maggio 1974. Piazza della Loggia.Un serpente che si allunga. Lo sapevamo bene, lo urlavamo forte. E’ passato tanto tempo. Eppure, di tutte le cose che sono accadute nel corso degli anni ho sempre il ricordo vivido di quella piazza: Piazza della Loggia. Forse perché c’ero. Perché c’era Manlio. Per la gente intorno. Per la pioggia. E per la voglia di cambiare.Non ho mai amato la contrapposizione. Ho sempre amato la libertà. Quella libertà che, ai nostri tempi era essenzialmente diversa da quella che si percepisce oggi. Meno abbottonata. Ho sempre dato poco peso agli attimi perchè gli attimi fanno parte della cronaca. Ho sempre detto questo a Manlio. Di non considerare gli attimi. Lo dissi anche quella mattina prima di andare a Piazza della Loggia. “Non faremo la storia. Per ora questa è solo cronaca”. Non era una manifestazione imponente, nazionale, era una cosa piccola, nostra e l’avrebbero menzionata solo i giornali locali.Ma l’avremmo ricordata dentro le nostre anime.Le anime. Che sono lentamente scomparse. Come i nostri ideali e i sorrisi di allora anche se non credo a questa democrazia di plastica. Il mio tarlo rivoluzionario non mi ha abbandonato. Forse perché sono ancora terribilmente curiosa e mi batto per la ricerca di una verità storica. Manlio è meno sorridente. Lui dice che dal 28 maggio 1974 ha perduto un pezzo di vita. Rispondo che è esagerato. Ma forse, ha ragione lui. Intimamente ha ragione lui. Occorre sempre considerare gli attimi, anche dentro gli avvenimenti storici e quel giorno, in un attimo, la nostra vita è cambiata. Ed è entrata terribilmente dentro la storia.Sento la chiave girare. E’ Manlio che ritorna. So che avrà acquistato un pezzo di torta di mele, tutta per me e, quando entrerà spegnerà la luce, si avvicinerà e mi stringerà forte a lui, senza dire niente.Lui non dice niente.Ma dentro quel niente c’è tutto.Dal 28 maggio 1974.Tutto.Il nostro forte e maledetto attimo.
Livia Bottardi, la protagonista di questa piccola storia, è morta a 32 anni. Insieme a lei, quel giorno morirono:
Banzi Bazoli Giulietta, anni 34, insegnanteCalzari Trebeschi Clementina, anni 31, insegnanteNatali Euplo, anni 69, pensionatoPinto Luigi, anni 25, insegnanteTalenti Bartolomeo, anni 56, operaioTrebeschi Alberto, anni 37, insegnanteZambarda Vittorio, anni 60, pensionato
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.018 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design