Ho rivisto oggi quella foto sulla prima pagina della Nuova Sardegna. Il cadavere annerito di un uomo, steso sulla cenere, vinto dal fuoco che si era preso la collina di Curraggia.
Allora i giornali le fotografie dei morti le pubblicavano, poco importava se ammazzati dal piombo o carbonizzati dalle fiamme. Non ci dormivo la notte, tanto quella foto del giornale portato a casa da babbo mi dava terrore.
Era il 28 luglio del 1983 e per noi galluresi, quel giorno, fu come per i bolognesi la bomba alla stazione o per i milanesi Piazza Fontana. Avevo 12 anni, ho vivo il ricordo dello stato d’assedio di quell’estate caldissima: il 28 luglio, Alghero registrò 44 gradi. Tempio attaccata dal fuoco, le campane del paese che suonano per chiamare a raccolta volontari disponibili a fronteggiare la minaccia. La strage, le polemiche del giorno dopo per un fuoco che marciava da sei giorni e nessuno fu in grado di spegnere. Le fantasiose teorie sul complotto terroristico o sulle ritorsioni della camorra contro la Sardegna per il boss Cutolo recluso all’Asinara. La medaglia d’oro al valor civile conferita venticinque anni dopo, in ritardo come i soccorsi.
Non devo scrivere altro, la parte più importante di questo post sono i nomi di coloro che pagarono con la vita coraggio e responsabilità:
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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