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L’albo d’oro del premio letterario di Chianciano mi ricorda che ad aggiudicarsi il riconoscimento nella sezione società, il 28 giugno del 1988, fu il saggio Pane nero di Miriam Mafai, uscito per Mondadori.
In quello stesso anno, la sezione narrativa del premio vide imporsi La nave del Vesuvio di Raffaele La Capria, mancato poche ore fa.
Pane nero è un libro che ho amato molto e, più di ogni altro tra quelli che ho letto sull’argomento, spiega in maniera trasparente la condizione femminile durante il Fascismo, la parabola della donna fattrice cui si dovette riconoscere un ruolo guida in un Paese che aveva mandato al fronte buona parte degli uomini in età lavorativa.
Pane nero coniuga il rigore statistico con la capacità di comunicare di una grande giornalista, quale è stata la Mafai.
Rovistando tra i miei appunti, ho trovato la trascrizione di diversi brani che avevo ritenuto significativi. Ve ne ripropongo uno, tratto dalle pagine 177 e 178, sperando siano di invito alla lettura.
“La ricerca del cibo divenne, in quella primavera del 1944, l’unica attività delle donne, a Roma. A Campo dei Fiori, alla Garbatella, al Prenestino, le madri di famiglia formavano spontaneamente dei gruppi ed andavano ad assaltare i forni. Un forno di via dei Giubbonari venne svuotato: c’erano sacchi di farina dappertutto.
Le donne sfondarono la porta, e prima che arrivasse la polizia ognuna era scappata con il grembiule colmo, la borsa piena, qualunque recipiente era buono per portarsi a casa la farina.
La fame accendeva il desiderio di cibi solidi e robusti: dalle parti di Santa Maria Maggiore venne svaligiato un deposito di fagioli, ceci e favette. Il confine tra legalità e illegalità, tra la protesta antifascista e la necessità di dare soddisfazione ai bisogni più elementari, si faceva sempre più esile. Tutto era lecito pur di procurarsi da mangiare, pur di riportare a casa qualche sigaretta per gli uomini che vi stavano rinchiusi ormai da mesi, e che nei loro nascondigli si rodevano l’anima nell’impotenza, vedendo le donne affannarsi, uscire, cercare, tornare tutti i giorni con un bottino più magro.
<<Tutte le mattine andavo al mercato del Trionfale. Cercavo le cipolle perché con le cipolle si cucina tutto, anche senza olio. Ma dopo che avevi fatto la fila, magari per ore, le cipolle erano finite, e allora ti rimettevi in fila a un altro banco e comperavi quello che c’era, i peperoni o i pomodori. Si andava avanti così tutta la mattina.
Certe volte uscivo prima delle sette e tornavo alle tre.
Una volta, al mercato di via del Lavatore, trovai solo sanguinaccio. A me faceva schifo, ma la bambina lo mangiò. Così tutti i giorni tornavo lì, dietro piazza di Trevi, per comperare quel sangue rappreso, che mi faceva schifo pure a toccarlo>>.
<<Non è vero che se avevi la pancia ti facevano passare avanti. Forse a qualcuna sarà successo, a me no. Non ti dico com’erano ridotte le mie scarpe, e per le gambe avevo uno sfogo che non capivo cos’era. Poi mi dissero che era per la mancanza di vitamine.
Alla bambina avevo fatto io delle scarpe con un vecchio cappello di feltro di mio marito. Ma i bambini io non sapevo dove lasciarli. E allora me li dovevo portare con me la mattina a fare la spesa, con la pancia e due bambini piccolissimi che non stavano fermi e cercavano di scappare. E se uno scappava io lo dovevo andare a riprendere, ma quando l’avevo acchiappato e tornavo indietro, non mi facevano mica riprendere il mio posto nella fila. Mi dovevo mettere di nuovo in fondo. La guerra è pure così, tanto egoismo>>.
<<Alle volte mio marito perdeva la testa. Stava rinchiuso lì in casa da mesi, ormai. Voleva a tutti i costi le sigarette. Io gliele cercavo, mi ero messa d’accordo con un tabaccaio che aveva capito che mi tenevo uno nascosto a casa. Quando tornavo a casa, tra la spesa, le sigarette e tutto il resto ero sfinita. Lui invece voleva sempre fare l’amore. Figurati io! Ero troppo stanca. Per la fame non avevo nemmeno più le mie cose, e avevo pure paura di rimanere incinta. Lui mi sembrava un fissato. Mi veniva addosso, mentre ancora avevo in mano la sporta con le patate, quello che avevo trovato. Io gli dicevo di no, e allora lui gridava che mi ero fatta l’amante, per questo uscivo e stavo fuori tutto il giorno>>.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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