Il 28 gennaio del 1788 in una delle baie di Sidney, in Australia, veniva fondata la prima colonia penale. Ne parlo perché dopo cento anni circa le colonie penali approdarono in Italia e più precisamente in Sardegna con l’apertura delle colonie dell’Asinara, di Castiadas, Cuguttu, Tramariglio e di Mamone. Ne parlo perché la differenza tra le colonie penali costruite dagli inglesi e quelle italiane sono essenzialmente diverse ma avevano sicuramente due cose in comune: l’isolamento e il lavoro forzato. Arrivai per la prima volta all’Asinara a febbraio del 1985 quando era diventata da tempo una casa di reclusione ma aveva, ancora, tutte le caratteristiche di una colonia penale. Vi erano le diramazioni, i cameroni per i detenuti, il lavoro di squadra dove una serie di reclusi (cerca venti) usciva con un solo agente disarmato per i lavori più disparati: raccogliere legna, arare un terreno, liberare corsi d’acqua. Non erano lavori forzati ma mi colpiva il fatto che i detenuti indossassero tutti la divisa da lavoro di un marrone perfido prodotto con un cotone infimo. L’isolamento era rappresentato dal fatto che fosse un’isola ma anche le altre colonie erano completamente isolate e, a dire il vero, lo sono ancora. Mamone è situata tra i territori di Bitti e Onanì e quando nevica ancora oggi rimane isolata, senza luce e linee telefoniche per giorni. L’isolamento e la campagna producevano però nei detenuti, negli agenti e negli operatori qualcosa di terribilmente magico e difficilmente traducibile. Non esiste, infatti, una parola sola che possa spiegare quella sensazione di complicità che si produceva all’interno di quello strano carcere in mezzo al mare. Forse era malinconia mista a disperazione, forse era voglia di riscatto unita alla bellezza aspra di quei luoghi ma, negli anni, non c’è una parola sola per definire quello che l’isola dell’Asinara è stata quando era presente la colonia penale. L’ho sempre considerata isola del silenzio, con un forte rumore di mare e storie di uomini che l’hanno caratterizzata. Voci che si sono mischiate tra il vento e le rocce, tra le capre e i mufloni, tra un pezzetto di cielo e un mare da vivere. Una colonia penale è certamente luogo d’afflizione, ma racchiude dentro milioni di occhi e di parole, una variegata umanità utile per disegnare le strade della vita.
(foto di Enzo Cossu)
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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