La conquista del potere da parte dei fascisti fu commentata qui a Sassari, tanto per cambiare, dalla parola che da noi è come get in Inglese, vuole dire tutto ed esprime ogni sentimento. Era periferia più di ora, in quel 27 ottobre del 1922, ma Sassari aveva i suoi giornali e aveva i suoi uomini a Roma e lo sapevano tutti che il giorno dopo i fascisti avrebbero marciato sulla capitale. Se ne parlava, i fascisti di qui magari ignoravano che quello sarebbe stato l’atto decisivo per la conquista del potere, ma del resto bene bene non lo sapeva neppure Mussolini. L’unica convinzione condivisa tra fascisti (non moltissimi ma anche qui piuttosto prepotenti), liberali vari e sinistre varie era che se i marciatori si fossero presentati armati alle porte di Roma, l’esercito sarebbe intervenuto pesantemente. Fu per questo che la sera del 27 un’accolta di camice nere sassaresi dismise la camicia nera e anziché radunarsi in una delle tre o quattro sedi ufficiali del partito, preferì vedersi in una casa privata, tra l’altro quella di un insospettabile professionista non iscritto, uno che più che alla politica pensava notoriamente a come compiacere un piccolo harem di giovinetti ai quali faceva molti regali, soprattutto penne stilografiche: forse aveva qualche convenzione con un rappresentante. Tra l’altro quando questo signore dopo la Marcia su Roma si iscrisse al partito e cominciò a fare attivamente politica, finì, innominato, sulle pagine della Nuova Sardegna. La Nuova nel frattempo era infatti divenuta decisamente antifascista perché l’editore e direttore Arnaldo Satta Branca aveva deciso la svolta proprio quando gli conveniva di meno, dimostrando anche con questo di essere una persona perbene. Comunque, siccome la Nuova aveva dei cronisti eccezionalmente informati nonostante le fonti non fossero delle più disponibili, mise in stampa appunto questa questione di penne stilografiche e di giovani camice nere. Figurati tu, a parte la questione del camerata porcaccione, andavi a toccarli proprio sulla questione della maschia gioventù. Insomma, ci fu una smentita indignata e corale. Il coro era composto da partito, prefettura, questura e carabinieri, che ormai erano sempre più la stessa cosa. E la questione si chiuse lì. Ma, insomma, questo accadde qualche tempo dopo. Ora siamo a quel 27 ottobre del 1922 quando questa decina di fascisti locali, i capi, i più ammanicati con le istituzioni, i più potenti ma evidentemente non i più animosi perché se n’erano rimasti a Sassari anziché andare a marciare in Continente, si riunirono in quella casa per attendere gli eventi. Senza distintivi di partito e divisi ad alcuni tavoli cosparsi di carte da gioco. Un espediente che doveva servire, nel caso di un’irruzione delle forze dell’ordine, a dimostrare che lì non si svolgeva un’adunata eversiva ma un torneo di mariglia. Insomma, questi cuor di leone avevano brutte notizie da Roma, erano convinti che il re avrebbe firmato l’ordine di assedio proposto dal presidente del consiglio Facta e che l’esercito, senza neppure sparare troppo, più che altro facendo uso del calcio dei fucili, avrebbe disperso in quattro e quattr’otto gli squadristi, come del resto dal ’19 in poi era accaduto in ogni parte d’Italia le rarissime volte che lo Stato si era opposto alla violenza fascista. Uno di loro faceva la spola con un ufficio pubblico dotato di telefoni e di telegrafo, immagino fosse la prefettura, dove i fascisti già contavano molti amici e complici. Ma poteva essere anche l’ufficio postale. Le notizie erano sempre meno consolanti, per loro. Si parlava degli ingressi di Roma presidiati dall’esercito e di alcune zone strategiche interne alla città saldamente in mano ai carabinieri e alla polizia. Si riferiva di treni carichi di squadristi vocianti fermati in varie località della penisola dai soldati che avevano sequestrato tutte le armi. Si vociferava di un litigio furibondo, persino schiaffi, tra i quadrumviri De Bono e De Vecchi. E soprattutto si mormorava che Mussolini non avesse alcuna intenzione di muoversi da Milano, più vicina alla Svizzera. Insomma, in questa clima un po’ sfiduciato la staffetta, nella tarda serata, tornò dal suo ennesimo viaggio nell’ufficio pubblico sventolando una busta chiusa con su scritto “Signor Taldeitali. Riservato” e la consegnò al più autorevole della combriccola -Non mi hanno voluto dire che cosa c’è scritto, dicono che dev’essere lei a decidere se renderlo pubblico o meno. Il destinatario lacerò la busta e ne trasse un foglio con una intestazione stampata e poche righe dattiloscritte. Lesse e rilesse stravolto, poi si guardò intorno e incerto tra un sorriso di trionfo e una smorfia preoccupata comunicò ai camerati -Cazzu, lu re no ha fimmadu l’assediu.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design