La sera andavamo a Ichnusa. Qualche sera, a dire la verità, non ogni sera. Era la sede in piazza d’Italia della rivista di Antonio Pigliaru. In quegli anni, dico dal 1966 al Sessantotto e Sessantanove, Ichnusa aveva già interrotto le pubblicazioni. Mi sembra nel 1965. Ma il gruppo continuava a esistere, a fare attività culturale e politica e a ospitare qualche volta le riunioni del movimento studentesco. Uso la minuscola perché non eravamo l’organizzazione di Capanna, ma proprio un movimento che raggruppava diverse anime e diverse sigle della sinistra extra e anche di quella parlamentare. Ricordi un po’ sfuocati, inquinati da nostalgie e sovrapposizioni temporali che confondono più corrette giustapposizioni: nel ’66 avevo quattordici anni e nel bel meglio del Sessantotto, quando succedeva anche a Sassari tutto quello che è successo, non avevo ancora compiuto diciassette anni. Capirete, un’età dove niente è fermo e queste foto all’indietro vengono quindi un po’ mosse. Però, oggi 27 marzo, anniversario della morte di Antonio Pigliaru, ricordo quella sede di piazza d’Italia dove qualche volta andavamo la sera. A due passi dalla federazione provinciale del Pci, quel grande simbolo della sinistra che movimentisti come me da un lato intimamente e clandestinamente consideravano come sicuro presidio di libertà e dall’altro confusamente snobbavano per cercare esperienze più rivoluzionarie. Antonio Pigliaru concluse la sua breve e grande esistenza nel 1969, all’età di 46 anni. Non penso di averlo mai conosciuto, forse neppure visto. In quella sede, mi conferma qualcuno che più di me ha memoria di quei tempi, ci capitava ogni tanto qualcuno del gruppo che ci ospitava: ad assistere alle nostre riunioni. Non penso che lo facesse anche lui. Era già molto malato, ritengo che non si allontanasse troppo dai sofferti tragitti che univano la sua abitazione all’università e all’ospedale. Però aleggiava la sua figura di “più grande intellettuale sardo”, in quella sede di piazza d’Italia. A parole, coglioni come qualche volta si è a quell’età, disprezzavo la “cultura borghese” che ci ospitava nella sua sede, così come i “revisionisti” nostri vicini di casa. Ma in un fondo di anima che avvertiva molto la debolezza di non opporsi a certe nostre debolezze dogmatiche, anziché compiacercene, capivo che noi eravamo una piccola parte di un edificio di pensiero politico e di cultura che quel “più grande intellettuale sardo” stava ancora costruendo. Forse anche ospitando di tanto in tanto le nostre riunioni. Io allora non sapevo di preciso che cosa fosse un intellettuale. Cominciavo a leggere Gramsci ed era il Gramsci di Gerratana e degli Editori Riuniti. Ma allora avevo pochi maestri in grado di spiegarmi quanto il concetto di cultura e di politica messo alla luce nel Gramsci di Gerratana fosse diverso dal Gramsci di Togliatti. L’ho scoperto dopo e ho capito cosa significhi essere intellettuale. Ed essere intellettuale sardo. E così, pensando oggi 27 marzo a quei 46 anni di vita di Pigliaru, alle sue scoperte sui meccanismi più profondi e antichi della cultura della nostra piccola nazione, a quelli di formazione delle moderne oligarchie, ai suoi studi sui diversi modi di intendere regionalismo e autonomia, alla sua originale concezione di autonomia come partecipazione ininterrotta alla gestione delle cose da parte del popolo, alla necessità di coinvolgere tutti gli strati democratici della popolazione per rifondare una vera classe dirigente, al suo appello per una sprovincializzazione della cultura che non ne neghi le essenze peculiari, ecco pensando a tutto questo capisco il significato tutto gramsciano del concetto di intellettuale e capisco perché Pigliaru è davvero il più grande intellettuale della Sardegna contemporanea.
In alto, Antonio Pigliaru nel 1968. La foto è tratta dal libro di Mavanna Puliga “Antonio Pigliaru. Cosa vuol dire essere uomini” (Iniziative Culturali- Ets. 1996)
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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