Il 27 giugno del 1980 alle ore 20.08 minuti c’è un aereo in partenza sulla pista di decollo dell’aeroporto Marconi di Bologna. È il Dc9 I-TIGI della società Itavia, diretto a Palermo con a bordo 81 persone: 77 passeggeri e 4 uomini di equipaggio. Su quel volo c’è Giuliana Superchi che ha 11 anni e si sarebbe dovuta imbarcare il giorno prima, ma ha aspettato la pagella della promozione, ritirata quella mattina, da mostrare al papà che vive in Sicilia e andrà a prenderla all’aeroporto di Palermo. Su quel volo c’è Alberto Bonfietti che s’imbarca, nonostante la febbre, per festeggiare il compleanno della figlia in vacanza in Sicilia. Su quel volo ci sono altre 75 persone e 4 membri dell’equipaggio che non sono mai atterrate e i cui corpi sono stati inghiottiti dal Tirreno.
L’aereo precipita, inspiegabilmente per cause che a tutt’oggi sono avvolte nel mistero. La tesi del cedimento strutturale del Dc9 resterà per quasi due anni la spiegazione ufficiale della tragedia fino a quando non sarà talmente traballante da non riuscire a reggersi più in piedi. Numerose scoperte incongruenti porteranno alla luce una storia intricata fatta di militari, alti ufficiali, uomini politici, e agenti dei servizi segreti di tutto il mondo. Una storia che rivelerà un’Aeronautica che gioca sporco nonostante la morte di 81 persone e un governo che, anziché agevolarle, è di grande ostacolo per le inchieste.
Il volo parte alle 20.08 circa, con due ore di ritardo. Alle 20.44 sta sorvolando il lago di Bolsena quando il pilota comunica con la torre di controllo di Ciampino, riferisce che viaggiano a 25.000 piedi di altezza e 800 km/h poi dice qualcosa di strano: – Da Firenze abbiamo trovato tutti i radiofari spenti: è un cimitero. – Ed è vero, era tutto spento. Prima che la comunicazione venga chiusa si sente una sillaba pronunciata dal pilota gua’ e nient’altro. Alle 20.49 il Dc9 dell’Itavia sparisce dal radar di Ciampino.
Al terminale degli arrivi nazionali tutti i parenti aspettano. Aspetteranno inutilmente per ore, giorni, mesi e anni quel volo e il suo fatale ritardo.
Alle 21.22 il centro di controllo di Martina Franca inizia le procedure di soccorso, decollano elicotteri che sorvoleranno Ustica; ma è buio e non si vede nulla. Solo intorno alle 5 della mattina verranno segnalati alcuni detriti in galleggiamento e poi, verso le 7.30, cominciano a fluttuare cuscini, poltrone, valigie. Intorno alle 9.00 c’è qualcos’altro che emerge dall’acqua: sono i corpi che iniziano ad affiorare.
C’è un gran disordine che regna sul recupero delle salme e dei relitti, dei quali non viene fatto nemmeno un inventario preciso, ma vengono ritrovate due cose che non appartengono all’I-TIG: due salvagenti e una sonda meteorologica.
Perché quell’aereo è precipitato?
Il giorno dopo il ministro dei trasporti Rino Formica crea una commissione d’inchiesta che chiede in consegna i dati forniti dai radar di Licola, Ciampino e Marsala; ma ecco che comincia ad apparire qualche problema: un radar è manuale, l’altro è stato spento subito dopo l’incidente. Serpeggiano le ipotesi di un missile, del resto c’era un’esercitazione in corso: volavano aerei militari. E anche i tracciati radar di Ciampino confermano la presenza di tre puntini luminosi che non appartengono alla rotta del Dc9. Secondo un ingegnere, membro della commissione di esperti, un velivolo non identificato avrebbe seguito la stessa rotta del Dc9 e poi d’improvviso avrebbe effettuato una virata per attraversarla appena questo era scomparso dal radar. Si tratterebbe della classica procedura di attacco di un Caccia Militare. Ma l’Aeronautica Militare smentisce prontamente negando qualsiasi esercitazione in corso, quella sera.
L’ipotesi più accreditata sembrerebbe, sempre secondo l’Aeronautica, quella di un cedimento strutturale. Ma, sebbene venga portata avanti per due anni, è una teoria che non convince nessuno: era un aereo vecchio, eppure regolarmente revisionato, il comandante un pilota esperto e nessuna perturbazione quella sera.
Solo la scatola nera può diradare i dubbi, ma è in fondo al mare e il suo recupero costerebbe allo Stato circa una decina di miliardi di lire. L’inchiesta rallenta e poi si ferma. Lì, inabissata a 3700 metri sott’acqua.
Nel 1986, in occasione del sesto anniversario del disastro, i parenti delle vittime rivolgono un accorato appello al Presidente della Repubblica che evidentemente va a segno perché Francesco Cossiga chiederà all’allora Presidente del consiglio Craxi di riprendere le indagini.
È una ditta francese quella che riesce ad aggiudicarsi l’incarico per le operazioni di recupero dei rottami del Dc9 e nell’arco di un anno e mezzo, nell’89, riporterà a galla tutti i resti compresa la scatola nera. Anche se qualcuno sospetta che tra quei relitti non ci sia ancora tutto quel che c’è da ritrovare. Circolano voci che vedono la ditta incaricata tenacemente legata ai servizi segreti francesi e quel missile, di cui si era parlato in principio, sembra essere proprio di nazionalità francese. Nel 1990 una seconda campagna di recupero, stavolta affidata a una ditta inglese, riesce a riportare a galla molti altri reperti, tra questi il serbatoio supplementare di un Caccia.
Le indagini proseguono e rivelano nuovi elementi.
Per esempio la versione di un militare, Luciano Carico, in servizio presso il radar di Ciampino, che asserisce di aver visto qualcosa, tra le 20.50 e le 20.59, due tracce luminose presenti nello stesso cielo del DC9. Si scopre che quella sera alle 20.20 dalla base di Grosseto si erano alzati in volo due Caccia F104 dell’Aeronautica Militare Italiana e che subito dopo il decollo uno dei due aveva mandato un messaggio con il segnale 7300 che in codice significa “emergenza generale”, ripetendo l’avviso 7 minuti dopo.
Insomma, il cielo del Tirreno in quelle ore è piuttosto trafficato: ci sono altri 4 aerei che partono da Grosseto intorno alle 20.18 ma che spengono subito il transponder di bordo; altri velivoli partono dalla Corsica; c’è un aeromobile americano che decolla dalla base di Sigonella un’ora dopo il disastro e anche un Mauax statunitense. C’è il giallo del Mig23 libico caduto sui monti della Sila lo stesso giorno del DC9, cosa che farebbe aleggiare lo spettro di Gheddafi sulla tragedia di Ustica.
Eppure l’Aeronautica Militare continua a ribadire non ci fosse alcuna attività aerea nel raggio di 50 km dal punto in cui è caduto di Dc9. Quel che accompagnerà la ricostruzione della vicenda è una parossistica mistura di azioni e di inerzia: carenze, omissioni, manipolazioni documentali e silenzi, ipotesi montate e smontate, uomini che parlano e poi ritrattano, altri che muoiono (come i due piloti del Caccia F104) e un Governo che pare non voler rispondere di quel che fa e, soprattutto, di quel che non fa.
Nel 1999 Rosario Priore conclude l’inchiesta chiedendo il rinvio a giudizio per i generali Lamberto Bartolucci, Capo di Stato maggiore dell’aeronautica, Franco Ferri sottocapo di Stato, Corrado Melillo generale di Brigata Aerea e Zeno Tascio capo del servizio informazioni dell’Aeronautica. Il 30 aprile del 2004 la Corte d’Assise di Roma assolve i 4 imputati dall’accusa di depistaggio e sancisce che la mancata consegna di informazioni utili alle indagini non si configura un reato di alto tradimento, come richiesto dall’accusa, bensì di turbativa alla quale si applica la prescrizione. Gli ultimi due imputati Zeno Tascio e Corrado Melillo sono assolti per non aver commesso il fatto.
La verità giace ancora in fondo al mare, a 3700 metri insieme alle 81 vittime che ancora oggi, a distanza di trentasette anni, reclamano giustizia. E questo post è dedicato a loro.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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