Cosa volessero farne della Polonia, i nazisti lo mostrarono al mondo quando decisero di invadere il paese nel 1939. Cosa avrebbero voluto farne di Oswiecim, non lo si comprese a pieno prima del 27 Gennaio 1945. Oswiecim era una piccola cittadina del sud della Polonia, non particolarmente importante. Ma i nazisti decisero che Oswiecim doveva essere il macabro tempio del progetto della “soluzione finale”. Nel 1939, la violenza del regime nazista si mostrò anche nella sua declinazione linguistica: e Oswiecim divenne Auschwitz.
Quel milione di morti che Auschwitz aveva causato era un numero che i sovietici dell’Armata Rossa guidata da Jakov Lebedev non potevano sospettare, quando settantuno anni fa entravano nel campo di sterminio.
Ma numeri a parte, l’orrore si mostrò subito dopo aver varcato l’ingresso, quel cancello con quella scritta beffarda, Arbeit macht frei: settemila scheletri ambulanti, quelli dei sopravvissuti. E oggi? Attorno ad Auschwitz lo scorso anno si è creata una polemica tra Polonia e Russia, le cui relazioni sono tese per più recenti vicende. In occasione delle celebrazioni per il settantesimo anniversario della liberazione del campo, Putin ricevette un freddo invito dai polacchi e decise di non recarsi alla cerimonia a Birkenau. Varsavia non ha mai smesso di rivendicare il peso pagato dai soldati polacchi dell’Armata; Putin non si è mai tirato indietro quando si è trattato di fare altrettanto per il suo paese, aiutato anche dalla ricostruzioni che davano gli Alleati informati su quanto accadesse sul fronte orientale ai prigionieri ebrei, omosessuali, portatori di handicap, rom, sinti, ai prigionieri politici. Qualcuno si chiede se sia utile il ricorso a celebrazioni come quella del 27 gennaio. C’è chi giudica inutili i viaggi di istruzione per studenti ai campi di concentramento; film sullo sterminio se ne girano sempre meno e meno frequentemente si trasmettono quelli già noti. Ha ancora senso una giornata nella quale ci viene chiesto, per qualche minuto, di fermarci a pensare, pensare ad un villaggio che si chiamava Oswiecim? Sì, ha senso. Ha senso il ricordo ed è utile anche per capire cosa possiamo rischiare, ancora oggi. Cosa rischiano gli americani, ad esempio, costretti a subire una campagna elettorale in cui un ridicolo miliardario rilancia sulla rete una vignetta in cui uno dei suoi rivali, il socialista Sanders, viene ritratto rinchiuso dentro una camera a gas.
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