Dalla metà degli anni Cinquanta più o meno sino alla sua morte Enzo Mirigliani e il concorso di bellezza miss Italia erano una sola cosa. Ma non ho voglia di approfittare di questa ricorrenza per discutere del profondo senso sociologico di questa gara annuale e di come a una buona parte di opinione pubblica sia difficile accettare la glorificazione della bellezza sotto vuoto, né parlare delle ingenue e profumate cazzate estorte alle miss da intervistatori professionisti. Non mi sono mai piaciute le farse popolareggianti che prendevano in giro i contadini. E nello stesso modo non amo l’analisi grammaticale e di contenuto delle dichiarazioni di miss Vorreilapacenelmondo. Mi annoio quando prendono in giro i politici che non sanno chi era Garibaldi, figuratevi se mi divertono quelli che sfottono le ragazze illuse che sfilano a culu in pipparu in un contesto che immagino simile all’asta di un grosso gregge che vidi una volta nel Meilogu, dove ogni tanto qualcuno forzava la bocca a una pecora e ci guardava dentro. A miss Italia non succederà ma non mi stupirei. Io voglio ricordare soltanto che in Sardegna l’equipollente di Mirigliani era il cavalier Tore Pinna, un sassarese che anche sulla targhetta in bronzo di casa, sotto il suo nome, aveva fatto incidere: “Agente unico per la Sardegna del concorso Miss Italia”. Come tutti i giornalisti sardi, lo conoscevo bene. Una volta in Assise aveva atteso certi presunti sequestratori e li aveva accolti con un lancio di spaghetti fatti preparare appositamente da un ristorante vicino al tribunale: “Mangiate, belve!”. Era uno così. Ma più che altro lo conoscevamo perché arrivava in redazione circondato da ragazzine smarrite istruite ad atteggiarsi a Sophia Loren per i poveri e che faceva fotografare per gli annunci delle varie serata di selezione: miss questo e miss quest’altro. Noi giovani sinceramente ce ne sbattevamo, ci piacevano altri tipi di ragazza e di donna. Ci capitava tutt’al più di osservare con interesse antropologico certi puttanoni di madri truccate col pennello da biacca che talvolta accompagnavano le loro bambine e se un giornalista per cortesia chiedeva qualcosa alle concorrenti, loro scattavano verso la figlioletta: “Rispondi, il dottore ti sta parlando. E stai su con la schiena. Dica a me, dottore”. La cosa che un po’ ci stupiva era il malcelato rivolo di bava di taluni, pochi, colleghi anziani davanti a queste piscialetto che potevano essere le loro nipoti, nel senso di nonni. E noi, poco più che ventenni in quegli anni Settanta, ci dicevamo di nascosto: “Cazzo, speriamo di non invecchiare così”. Devo dire che più o meno, almeno sotto questo aspetto, ci è andata a tutti benino. C’era il mio collega di nera e giudiziaria che era un tipo abbastanza rigido e non si limitava come noi a fottersene, ma durante queste invasioni manifestava il suo disappunto con occhiate severe. E la cosa più brutta accadde a lui e a me. Allora si finiva di lavorare a notte fonda e spesso si era tanto stanchi che era inutile andare a letto, tanto il sonno non sarebbe arrivato. Quella volta uscimmo insieme dal giornale, gli offrii un passaggio a casa ma lui mi disse che aveva fame. Ne avevo molta anch’io e, cerca che ti cerca, arrivammo a Castelsardo in un ristorante dove di solito anche se stavano chiudendo, quando ci riconoscevano ci davano comunque da mangiare. Nonostante l’ora tarda era stranamente animato. Entrammo e ci accolse Tore Pinna: “Che bella sorpresa, anche voi qui”, disse sogghignando. Ci accorgemmo che il locale era in piena attività perché era in corso un’eliminatoria di miss Italia. Noi due eravamo schedati tra gli scettici blu dei concorsi di bellezza. E in particolare lo era il mio collega. -Voi da questo momento siete in giuria – ci intimò il patron. -Levatelo dalla testa – risposi io. Presi per un braccio il collega che era rimasto frastornato e corremmo verso la macchina. Io allora avevo una vecchia 124 riconoscibilissima perché su una fiancata aveva dei cerchi concentrici simili a una rosa di pallini e tutti mi pigliavano per il culo dicendo che ero stato scambiato per un tordo. Ci preparammo a scappare ma la mia Fiat, debitamente riconosciuta, era stata bloccata di traverso dalla Dune Buggy rossa di Tore, notissima a Sassari perché se l’aveva comprata pochi mesi prima in coincidenza con l’arrivo sugli schermi sardi di “Altrimenti ci arrabbiamo”. Urlai qualcosa al custode del parcheggio ma quello borbottò delle scuse e si allontanò. Capimmo che per ordini superiori era stato lui a bloccare la mia auto con il giocattolo di Pinna. In quel momento l’altoparlante annunciò la composizione della giuria e al termine di un elenco di avvocati, notai e altri professionisti, udimmo con rassegnazione i nostri due nomi e la testata giornalistica di appartenenza. Rifiutammo di sedere tra i giurati e ci sistemammo in un tavolino tra il pubblico. Non ci diedero neppure da mangiare perché la cucina era chiusa per via del concorso. Avevamo sete e da bere c’era soltanto whisky on the rocks. A stomaco vuoto! Chiedemmo che almeno abbondassero con il ghiaccio. E Tore ghignava. Quando ci consegnò le schede da compilare con le nostre preferenze, io lo mandai affanculo e il mio collega, che era più melodrammatico, stracciò la scheda e gli buttò i pezzi in faccia; poi, completamente ubriaco, chiese dov’era la fermata della corriera (alle 3 del mattino). Alla fine al bar trovai un bustone di noccioline, merce rara all’epoca perché gli stuzzichini da aperitivo non erano così diffusi. Mi zavorrai lo stomaco e quindi ero meno cotto del mio amico che si era adesso rivolto a un avvocato della giuria chiedendogli se era possibile denunciare il patron per sequestro di persona. -Semmai per sequestro di macchina – gli rispose il leguleio. -E per violenza privata? – insisteva il collega sbronzo marcio. -Ma non rompa i coglioni – concluse l’avvocato. Insomma, fu una sputtanatura storica, anche perché qualcuno mandò le più vispe delle concorrenti a sculettare accanto al tavolo dove ci eravamo ritirati offesi. Avevano detto loro chissà che cosa e ogni tanto qualcuna diceva a uno di noi “Mi voti?”, con occhiate che volevano essere lascive e che invece richiamavano il letto solo nel senso del luogo per dormire in cui a quell’ora avrebbero dovuto trovarsi ragazzine della loro età. Quando tutto fu finito era l’alba. La sbornia da stomaco vuoto era passata e il mio amico sonnecchiava. Tore si avvicinò. E mi accorsi che era vecchio. Le notti in bianco gli pesavano. Si scusò ridacchiando e cominciammo a chiacchierare. Mi confessò che apprezzava il nostro distacco quando portava la mandria di ragazzine in redazione, anche se gli davano fastidio certi atteggiamenti preteschi, per i quali si era voluto vendicare del mio collega. -Ci sei passato anche tu, pazienza. -Però sei un po’ stronzo. -E come potrei fare altrimenti questo mestiere? Poi mi raccontò che riteneva suo dovere proteggere quelle ragazzine da brutte esperienze. -Parli dei miei colleghi anziani? -Ma no, quelli sbavano ma sono innocui, scherzano per non sentirsi vecchi, sono meno bacchettoni di voi giovani comunisti e non avrebbero mai il coraggio di andare avanti. Nel nostro mondo, però, ci sono certi personaggi… E alcune di queste ragazzine farebbero di tutto per un posticino nello spettacolo o nella moda. E in certi casi, sai, le devo difendere anche dalle madri. Gli dissi che le avevo notate alcune di quelle signore e pensai alla Magnani di “Bellissima” di Visconti, quella madre ingenua che fa di tutto per fare entrare la sua bambina nel cast di un film. Glielo dissi. -No, non ci siamo. Io ho visto anche madri tutt’altro che ingenue che sanno bene che razza di rischi possono correre le loro figlie. Poi arrivò il corteo delle gallinelle assonnate che avevano finito di fare certi ipocriti festeggiamenti alla faraona della serata. -Cavaliere, cavalier Pinna, siamo stanche. Lui si alzò, riprese la faccia della festa e mi guardò. -Ora ti libero il tuo trattore Fiat. E… quello che ci siamo detti rimane qui, naturalmente! Come vedete sono stato di parola.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Da Mattarella a Zelensky passando per Sanremo.
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
Un rider non si guarda in faccia (di Cosimo Filigheddu)
Ciao a Franco dei “ricchi e poveri”. (di Giampaolo Cassitta)
La musica che gira intorno all’Ucraina. (di Giampaolo Cassitta)
22 aprile 1945: nasce Demetrio Stratos: la voce dell’anima. (di Giampaolo Cassitta)
Ha vinto la musica (di Giampaolo Cassitta)
Sanremo non esiste (di Francesco Giorgioni)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.022 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design