Tra il 7 e il 12 agosto del 1948, la marcia di Gianni Zuddas tra le corde dei ring di Londra sembrava inarrestabile. Ebbe ragione di un filippino, di un francese, di un irlandese e, in semifinale, di uno spagnolo. Poi venne la finale e il sogno dell’oro olimpico si infranse contro la mascella del magiaro Tibor Csik e contro un verdetto che, a sentire le cronache, fu clamorosamente ingiusto. Un po’ come accadde al peso mosca sassarese Gavino Matta, anch’egli sconfitto in finale nel 1936, a Berlino. Giambattista Zuddas, noto Gianni, è morto il 26 ottobre del 1996 a Cagliari, dove era nato 68 anni prima. Da peso gallo, è stato uno dei massimi interpreti della gloriosa scuola sarda del pugilato, distintasi per i successi di Burruni, Udella e del peso mosca di Ales Fernando Atzori, unico sardo a vincere un titolo olimpico individuale: accadde nel 1964, a Tokyo. Tornando a Zuddas, dopo argento a Londra ottenne un riconoscimento ancora più prestigioso: il Guanto d’oro, il premio più ambito cui un boxeur dilettante potesse aspirare. Eppure, in rete trovate solo pochi ed essenziali cenni alle sue imprese sportive e nessuna traccia sulla sua vita. Erano altri tempi. Oggi, di un atleta che vinca una medaglia olimpica sapremmo tutto e, quando starebbe per scomparire dai radar della memoria, ce lo ritroveremmo riciclato in qualche reality show.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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