Chissà per quanto tempo la memoria collettiva dei sardi ricorderà la data di sabato 25 marzo 2017, quando un gruppo di 200 teppisti giunti da Cagliari, travestiti da tifosi rossoblu, ha devastato il centro di Sassari distruggendo quanto trovava sulla sua strada, prima di essere caricato dalla polizia in assetto antisommossa e rispedito a casa. Il tutto, prima del big match Sorso-Cagliari: un’amichevole di nessuna importanza, tanto per rendere ancora più surreale e assurda una vicenda finita sui titoli di tutti i telegiornali nazionali. Scrivo quest’agenda perché non è accettabile, né degno di un paese civile, che ai fondamentalisti del tifo si possa concedere ancora questo potere, così come non è accettabile che beceri campanilismi medievali possano ancora sopravvivere in Sardegna, manifestandosi in forma così violenta. Quanto accaduto ieri a Sassari è la replica delle azioni teppistiche compiute nell’estate del 2013 a Olbia dagli hooligans rossoblu, prima dell’amichevole tra Cagliari e Catania: lo ricordo per far notare come, nonostante i daspo e le sanzioni assunte a carico dei tifosi, i balordi della violenza mascherata da tifo restino liberi di sfasciare tutto, quando passa loro per la testa. E allora? Allora basta con le attenuanti a loro favore, basta col minimizzare la delinquenza comune se agisce nei pressi di uno stadio, basta col considerare il calcio una zona franca rispetto al diritto e alla civiltà, finiamola col riconoscere autorevolezza a certe voci del tifo che riescono ad interferire nelle decisioni delle società calcistiche, leggi vicenda Storari, voci spesso sostenute da politici alla ricerca di facile consenso. Certo, il calcio c’entra poco con tutto quel che ieri è accaduto a Sassari. C’entra molto di più questa demenziale rivalità tra capo di sopra e capo di sotto. Ma resta sempre l’impressione che le violenze gratuite siano percepite come meno gravi, se compiute in nome della rivalità sportiva. Bisogna avere il coraggio di denunciare e levare ogni maschera a questa marmaglia e a chi la asseconda, senza lasciarsi intimidire o confondere da questioni di campanile. Non possiamo darla vinta a questi barbari. (Nella foto, un’immagine simbolo di violenza negli stadi)
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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