Il 26 luglio del 1988 il ministro degli Esteri dell’Unione sovietica Eduard Shevardnadze, georgiano come Stalin, convoca una conferenza stampa per far sapere al mondo che l’Urss “non lotterà più contro i sistemi capitalistici” e che “i militari dovranno essere sottoposti al controllo degli organi elettivi”.
Il giorno prima, l’allora corrispondente di Repubblica da Mosca Ezio Mauro aveva messo a segno un clamoroso scoop, annunciando la decisione del Cremlino di declassificare e rendere pubblici i carteggi tra il Partito comunista italiano e il governo moscovita. Il Pci italiano aveva chiesto di poter accedere agli archivi di Stato vent’anni prima, ma solo con l’avvento di Gorbaciov la richiesta venne accolta. Da quegli atti si sarebbero conosciute anche omissioni e complicità di Togliatti con le politiche repressive di Stalin.
Il Muro di Berlino sarebbe caduto sedici mesi dopo, ma quell’intervista di Shevardnadze rappresenta, secondo me, la prima, chiara scossa tellurica in funzione del nuovo ordine mondiale.
La perestroika marciava a passo spedito e la glasnost era un processo ormai irreversibile.
Quello stesso 26 luglio 1988, la Pravda pubblica integralmente, senza spostare una virgola, un intervento dello storico Yuri Afanasiev nel quale si rinnega tutta la storia del socialismo reale. “Che socialismo è il nostro, se settant’anni dopo abbiamo ancora il cibo razionato e possiamo solo sognare un surrogato di mortadella?”
La notizia non è nella verità raccontata da Afanasiev, già espressa mesi prima in un congresso del Pcus, ma nella pubblicazione di un’analisi così devastante sull’organo di stampa governativo russo. La Pravda aveva giudicato sbagliate le tesi di Afanasiev, ma gli aveva permesso di controreplicare liberamente.
Sembrava l’alba di una democrazia pluralista.
Per i ragazzi che leggono, mi permetto di spiegare che L’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche (Urss) corrisponde in grande, sul piano geografico, alla Russia attuale. Solo che la Russia di allora era un paese comunista e certe libertà non erano garantite, una per tutte la proprietà privata.
Nemmeno nella Russia di oggi certe libertà sono garantite, come ci insegna la stretta attualità. Ma è un’altra storia.
Perciò quando leggete Urss su una vecchia cartina non pensate si tratti di un errore, perché quel grande Paese allora portava quel nome. Non fate, insomma, come quella mia alunna che, leggendo sul libro di Storia il nome Prussia, alzò la mano per segnalarmi l’errore: “Guardi, prof, si sono sbagliati e ci hanno messo una P davanti”.
Anzi, se un professore vi interroga sulla Guerra Fredda e cerca di far finire il discorso sul Muro di Berlino, voi rispondete che sì la caduta del Muro è stata l’atto culminante di un processo in atto. Ma aggiungete pure che il primo masso lo fece rotolare giù il ministro Shevardnadze con quella dichiarazione del 26 luglio 1988.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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