Il 26 luglio del 1943, poche ore dopo il drammatico Gran Consiglio che sancì la fine del ventennio fascista, due giganteschi aerei tedeschi volavano sul nord della Sardegna, tra Olbia e La Maddalena. Giganteschi è l’aggettivo appropriato, perché si chiamavano Gigant: erano i primi aerei da trasporto della storia, cargo prodotti dalla Luftwaffe in 200 esemplari per caricare persone e mezzi da spostare sui vari fronti di guerra. I due mastodonti volanti decollarono da Olbia, dove avevano fatto scalo per scaricare dei feriti, in direzione Grosseto, ma vennero immediatamente intercettati da una squadriglia di Beaufighters inglesi partiti dalla Tunisia e diretti verso nord. I Gigant, nel corpo a corpo ad alta quota, non avevano alcuna chance di battere i velocissimi a guizzanti caccia britannici. Cercarono di sfuggir loro dirigendosi verso l’arcipelago di La Maddalena, ma vennero colpiti ed abbattuti senza pietà. Uno precipitò a Mongiardino, nelle campagne di La Maddalena, l’altro si inabissò in mare, al largo di Caprera. I morti furono sessantasette, secondo il bilancio ufficiale. Dieci i superstiti. Quasi settant’anni dopo Federico Peyrani, titolare di una libreria militare di Milano, trova una serie di tracce sul combattimento aereo di quel 26 luglio del 1943. Ne parla con una giornalista, Cristina Freghieri, che vola a La Maddalena per cercare riscontri sul campo. Perché tutto questo interesse? Perché alla seconda guerra mondiale di Gigant non ne è sopravvissuto manco uno, essendo andati tutti distrutti proprio per la loro estrema vulnerabilità: se quel relitto fosse stato in fondo al mare, sarebbe stata l’unica testimonianza tangibile della sua esistenza. Da un pescatore di La Maddalena, Mario Vitiello, la Freghieri e il subacqueo professionista Aldo Ferrucci trovano importanti indicazioni sul ritrovamento di alcuni resti di aerei riemersi nelle resti da pesca, qualche anno prima. Quattro giorni a setacciare il mare, finché i sei motori del Gigant non appaiono ai due ricercatori, adagiati con quel che resta del velivolo su un fondale di 65 metri. È il 28 maggio del 2012.
Poi, però, all’euforia per il ritrovamento si sostituisce la pietà umana. Esisteranno dei figli, dei nipoti, dei parenti di quei militari periti nella sciagura? History Channel si interessa alla vicenda e rintraccia negli Stati Uniti la figlia di uno dei componenti di quell’equipaggio, Arthur Busch. Herta aveva otto anni quando il padre morì, ma la famiglia non seppe mai nulla sulla sua sorte. L’anno dopo la donna è a La Maddalena per la commemorazione dei defunti, esattamente settant’anni dopo i fatti. Vi partecipano anche alcuni maddalenini testimoni oculari di quel disastro. History Channel ha mandato in onda nei mesi scorsi il documentario. Tra gli intervistati, anche l’ex sindaco di La Maddalena Angelo Comiti, di cui mi ha colpito una proposta: trasformare in zone di interesse culturale, appositamente segnalate e delimitate, tutte quelle aree dove siano caduti aerei o siano affondate navi durante i conflitti mondiali. Non ce la dimentichiamo, questa idea di Comiti. Serve a custodire e tramandare la memoria, la cosa più preziosa che abbiamo, specie in questi tempi bui di odio e ignoranza.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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