Il 26 febbraio del 1922 entra in carica il governo dell’onorevole Luigi Facta, un mite avvocato piemontese figlio politico di Giolitti. Quel governo durerà otto mesi e la storia non se lo sarebbe filato, se non fosse che nella successione degli esecutivi del Novecento sarà l’ultimo prima dell’avvento al potere di Benito Mussolini. Secondo una gran parte degli storici, fu anche la debolezza del vecchio Facta e la sua sottovalutazione del nascente fascismo a rendere possibile quel trapasso istituzionale, convincendo Vittorio Emanuele III a nominare Mussolini capo del governo, alla fine del mese di ottobre di quel 1922. Nella cronaca di quelle ore convulse, a Facta resterà per sempre legato un giallo ancora irrisolto: il rifiuto, da parte del Re, di firmare lo stato d’assedio che il capo del governo intendeva proclamare. Si era infatti sparsa voce, fin da qualche giorno prima, che le squadre fasciste di tutta Italia stavano convergendo sulla capitale per marciare su Roma. Facta, interpellato proprio dal sovrano qualche giorno prima, aveva liquidato la presunta emergenza come una pagliacciata di pochi invasati, garantendo al re che sarebbe bastato qualche colpo a salve per disperderli. Valutazione drammaticamente sballata, si capì qualche giorno dopo. Allora Facta cercò di correre ai ripari, proponendo misure eccezionali in un consiglio dei ministri convocato all’alba del 28 ottobre. Tra queste anche lo stato d’assedio, che però Vittorio Emanuele rispedì al mittente, non senza un certo fastidio. Ufficialmente perché il governo di Facta si era presentato come dimissionario, il che avrebbe privato della necessaria autorevolezza istituzionale quel grave provvedimento. Secondo altre versioni, il re non sarebbe stato affatto certo della fedeltà alla monarchia delle forze armate, tra le quali le simpatie per il fascismo erano molto diffuse. Altri ancora sostennero che nella resa a Mussolini di Vittorio Emanuele ci fosse lo zampino della regina Margherita che, contrariamente al figlio, aveva un debole per il futuro dittatore e ne sponsorizzava le ambizioni. Ad ogni modo e anche se in quel momento non lo si poteva sapere, fu il via libera al Ventennio. Di questo marasma, ancora oggi, molti considerano il povero Facta diretto responsabile, proprio per la sua debolezza. Messo in disparte, venne nominato senatore dal fascismo e morì nel 1930, nella sua Pinerolo di cui fu anche sindaco. Ricordo, nella pagine della sua storia d’Italia, il ritratto corrosivo che ne fece Indro Montanelli: lo soprannominava “nutro fiducia”, convinto che la naturale bontà degli uomini avrebbe risolto ogni pasticcio. Avesse avuto un po’ più di polso e di fermezza col re, forse oggi non ci ritroveremmo nuovamente circondati da camicie nere come in quell’ottobre del 1922.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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