Una notte, in ritiro, sorprese i suoi giocatori riuniti in una stanza. I più lesti fecero sparire le bottiglie di whiskey, ma col fumo non ci si poteva fare nulla: era un nebbione padano, lo si poteva tagliare a fette. Tutti tacquero, aspettando il solenne rimprovero e l’inevitabile multa. Lui, l’allenatore, si mise a sedere sul letto e chiese: “Vi disturba se mi accendo una sigaretta?”.
Cinque anni prima, quando il presidente del Bologna lo licenziò con un telegramma, lui commentò non la decisione tecnica ma il telegramma: “Ci sono due errori di sintassi e un congiuntivo sbagliato”.
Perse una prima volta la panchina del Cagliari, nel 1967, perché durante una tournée negli Stati Uniti venne beccato a pisciare nel giardino dell’ambasciata, dissero le cronache ufficiali. Secondo altre fonti, invece, liberò la vescica in un cassetto, nella stanza di un diplomatico violata al culmine di una nottata alcolica.
L’irripetibile Manlio Scopigno è morto a Rieti il 25 settembre del 1993, esattamente ventidue anni fa. È stato l’allenatore del Cagliari scudettato del 1970, ma io nel 1970 non ero ancora nato e la sua carriera da allenatore è stata troppo breve perché possa ricordarmelo in panchina. Di quella da calciatore non ne parliamo: legamenti rotti a 26 anni, a Rieti, nella partita in cui segnò il suo unico goal in Serie A: gioia e dolore, forse per questo la filosofia era la sua vera vocazione. Allora, negli anni, sono andato a cercarmi ogni documento e ricordo lo riguardassero, troppa era la curiosità suscitata da quel finissimo umorista, del tutto fuori posto in un mondo senza senso dell’ironia come quello del calcio.
Tra gli altri, ho trovato questo filmato tratto dalla puntata della Domenica sportiva che celebrava quel trionfo calcistico. Il conduttore Lello Bersani chiede a Scopigno una definizione di sé stesso: filosofo? Anticonformista? Fuori dagli schemi? Chi è Scopigno? E lui, con quei capelli tirati dalla sinistra alla destra del cranio, gli occhi piccoli e furbi, rispose: “In questo momento, Scopigno è uno che c’ha sonno”. E quando vede un suo onesto gregario ai Mondiali, se ne esce con l’indimenticabile “dopo Communardo Niccolai in mondovisione non ci resta altro da vedere nel XX secolo”.
Che dispiacere non aver potuto conoscere quest’uomo! Un uomo capace di queste imprese dialettiche, in un mondo in cui nelle interviste i calciatori “sono sempre a completa disposizione del mister” e il massimo della trasgressione è non avere manco un tatuaggio.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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