Fino ad un momento ben preciso, i quadri di Picasso non riuscivo proprio a farmeli piacere. È poi accaduto che mi sono trovata costretta ad averci a che fare.
Mi trovavo, dieci anni fa, a studiare in Francia nell’università di Bordeaux intitolata al filosofo Michel de Montaigne. Mesi prima avevo compilato senza troppa riflessione il modulo degli esami che dovevo scegliere di sostenere, e avevo scritto “Storia dell’arte Contemporanea”. La giovane docente francese con la quale sostenni l’esame, tra le altre, mi sottopose Picasso e le Demoiselles d’Avignon (1907). È con questa opera che Picasso concretizza il suo avvicinamento al cubismo, determinando, quindi, un cambiamento nel suo stile e nell’arte pittorica tutta. Destrutturazione. Fu quella parola a colpirmi. I volti delle signorine avignonesi, che mi erano sembrate, fino ad allora, semplicemente “brutte”, lasciavano scoprire l’influenza dell’arte africana. La scomposizione e ricomposizione della figura umana sarebbe stata estremizzata ancora di più, successivamente, nelle opere del cubismo analitico.
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