Uno può dedicare l’agenda del 25 luglio al Gran Consiglio, oppure al varo di una nave privata. Io ho scelto la seconda opzione.
Perché, vedete, il Nabila non è stato solo lo yacht dell’uomo d’affari saudita Adnan Khashoggi, piuttosto una specie di spartiacque nella gara dello sfarzo di chi può permettersi tutto. Per quanto mi riguarda, quella favolosa barca è legata anche a molti ricordi d’infanzia, avendo spesso solcato le acque dei mari sardi. Non ci sono mai salito sopra, s’intende, ma forse ai miei occhi di decenne diede la misura di quanti mondi esistano e in quanti modi possa essere vissuta l’esperienza terrena. E forse non sono stato il solo a vederci qualcosa di più di una sfacciata ostentazione di opulenza, se è vero che al Nabila i Queen hanno dedicato una canzone e se è altrettanto vero che a bordo ci si girarono le riprese di Never say never, James Bond annata 1983.
Certo, se il Nabila lo vedessimo oggi forse non lo degneremmo di grande attenzione, considerato che le dimensioni degli yacht sono nel frattempo raddoppiate e poco risalterebbero gli 86 metri del vascello del defunto Khashoggi accanto ai 156 metri del Dilbar di Usmanov o ai 133 metri del Murqib dell’emiro del Qatar. Ma ogni tempo ha le sue grandezze, non necessariamente da misurare in metri e tonnellaggio.
Il Nabila (nome della primogenita Khashoggi) uscì dai cantieri di Viareggio il 25 luglio del 1979: non fatevi ingannare da Wikipedia che riporta, sbagliando, la data del 25 giugno. Ma il lavoro era largamente incompleto, scrisse il Corriere della Sera, che per l’occasione spedì a Viareggio l’inviato Nicola D’Amico. Gli arredi interni sarebbero stati ultimati solo un anno dopo, quando un secondo e definitivo varo si ebbe a Montecarlo. Ma a Viareggio fu gran festa, con le parole di benedizione affidate ad un muezzin e ad un sacerdote cattolico, avendo Khashoggi sposato in seconde nozze una moglie italiana. Fu gran festa anche perché la commessa del maxi yacht, dissero le cronache del tempo, scongiurò la cassa integrazione per 350 operai dei cantieri Benetti, cui l’opera venne affidata.
Seppi della sua esistenza una domenica d’estate del 1981. Galleggiava nel golfo di Arzachena e io, che stavo con la famiglia sulla spiaggia del pontile di Laconia, vedevo di fronte a me questo mastodonte che portava sulla fiancata, ben visibile, il nome in lettere dorate, scintillanti al sole alto del mezzogiorno. Ricordo che qualcuno, da un ombrellone vicino, ci passò un binocolo, perché potessimo ammirare meglio quella meraviglia, e quel binocolo passò di mano in mano da un capo all’altro della spiaggia. Le notizie non giravano velocemente come ai tempi nostri, perciò si favoleggiava su chi ne fosse proprietario. Ad un certo punto, sentimmo dire “il padrone è uno sceicco”. Io non sapevo cosa fosse uno sceicco e capii “sceriffo”. E iniziai a chiedermi quanto diavolo potessero guadagnare quei tizi con cappello e cinturone conosciuti dai film western, giungendo poi alla pacifica conclusione che trattandosi di un lavoro molto pericoloso era giusto venisse ben pagato.
E poi ci fu un ohhhhh di meraviglia collettivo quando sul ponte del Nabila vedemmo atterrare con manovra di gran perizia un elicottero. Sembrava davvero una scena da James Bond e sul serio avevo difficoltà a credere a quel che i miei stessi occhi mi mostravano.
Negli stessi giorni ci fu la piccante storia di Lory Del Santo. Ricordo la schifata indignazione di mia madre e il ridacchiare quasi ammirato di mio padre mentre commentavano il regalo che Khashoggi aveva acquistato per l’intraprendente ventenne italiana: un brillante da 110 milioni di valore, pensiero per qualche ora di affettuosa amicizia trascorsa assieme nelle lussuose cabine del panfilo.
Quell’anno ci vennero a trovare a casa degli amici dalla Germania. Andarono apposta a Porto Cervo per vedere il Nabila e uno di loro tornò indignato e ammirato nello stesso tempo: un mescolarsi di stati d’animo espresso nel suo per noi incomprensibile idioma, ma tradotto prontamente da un’amica tedesca che parlava italiano.
Il Nabila era per tutti un dilemma di coscienza. Che spreco le rubinetterie in oro massiccio, ma che fortuna potersele permettere! E i seimila cavalli sprigionati dai motori? E i collegamenti via satellite con le postazioni terrestri, primo yacht privato al mondo ad averle in dotazione?
Poi ne perdemmo le tracce, anche perché nel frattempo la fortuna di Khashoggi venne meno e il suo nome finì al centro delle inchieste sul traffico internazionale di armi. Solo di recente ho saputo che una decina d’anni dopo venne venduto a Donald Trump e, in seguito, ad un emiro che lo ha ribattezzato Kingdom 5KR.
Khashoggi è morto un paio d’anni fa, poco più che ottantenne. Ma il suo Nabila continua a navigare, anche se con un nome diverso, nelle acque del Tirreno. La app Marinetraffic, da cui è tratta la foto di questo post, me lo segnala al porto di Sanremo, come abbandonato a sé stesso. Pare passi pressoché inosservato. Come certi attori in disarmo scomparsi dai radar della celebrità, sconfitti dal tempo e da giovani colleghi più giovani e aitanti.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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