Chiedi a tuo figlio se conosce Charlie Chaplin, chiedi a tuo figlio se per lui Charlot non è altro che una maschera di carnevale. Fagli ascoltare le note di “Luci della ribalta”, e chiedigli se le conosce. Osservalo, e cerca di capire se anche lui, come te, si commuove a quelle note. Non può. Torniamo bambini. Aria di festa in casa. Strana atmosfera, si direbbe magia. E’ Natale, l’unico momento in cui potevano giungere dei regali e tante cose buone da mangiare. In televisione, con due soli canali, danno i film più belli, programmati apposta per l’occasione. E lui, Charlie Chaplin, c’è sempre. Una carovana di zingari portava spettacoli in giro per l’Inghilterra del Sud. In uno di quei carrozzoni, nel 1889, nacque Charles Spencer Chaplin, da una squinternata famiglia di artisti, padre dedito all’alcool e madre con problemi psichici. Secondo la biografia Charlie nacque nei sobborghi londinesi, ma di fatto non esiste traccia all’anagrafe e documenti più recenti indicano un parco nei pressi di Birmigham, allora tradizionale residenza degli artisti gitani, come il luogo di nascita del futuro cineasta. Dopo un anno che nacque Charlie, i suoi genitori si separarono, a causa di una relazione della madre con un cantante. La madre aveva già un altro figlio nato da una precedente relazione con un attore ebreo, Sidney, di quattro anni più grande, che poi divenne il mentore del piccolo Charlie, subito rivelatosi come fenomeno precoce. I due fratellastri, rimasti praticamente soli, girarono per compagnie teatrali dove lo straordinario talento del piccolo Charlie lo fece ben presto diventare conosciuto nell’ambiente, finché i due approdarono in America. Charlie divenne ben presto ricco e famoso, grazie all’invenzione di Charlot, personaggio buffo e malinconico nello stesso tempo, simbolo di una umanità che, ai primi decenni del ‘900, in pieno vento di guerra, diventava sempre meno umana. Charlot, che si fondava sulla straordinaria mimica facciale e sulla fisicità di un attore che in gioventù era stato saltimbanco e atleta, scomparve con l’avvento del cinema sonoro. Forse fu una fortuna, perché le opere di Chaplin divennero profonde e riflessive. Emerse, nei successivi film, una poetica così profonda da segnare la storia dell’arte del ‘900, con alcuni film che si possono considerare come tra i massimi capolavori del cinema di tutti i tempi. Fu in quel periodo che Chaplin, ormai stabilitosi da tempo in America, iniziò ad essere sospettato di antiamericanismo e, più tardi, nel secondo dopoguerra, in pieno maccartismo e caccia alle streghe, di essere simpatizzante dei comunisti. Oggi sembra scontato: ma negli anni ’30, fare film che avevano come protagonisti la gente comune, per lo più misera e povera, venditori ambulanti, circensi, operai, vagabondi, avventurieri, e come scenario le periferie più miserabili e squallide, le fabbriche, le bettole, le baraccopoli, non era affatto scontato. Ad esempio in “Tempi Moderni”, anticipò di mezzo secolo le tematiche dell’alienazione e dei ritmi disumani in fabbrica, oltre a trattare aspetti legati alla disoccupazione e alle lotte operaie all’epoca censurabili. In quegli anni i film americani dovevano raccontare l’epopea mitica del West, fondativa della grande nazione, oppure le grandi storie d’amore e di guerra, del tipo Via col Vento, e le ambientazioni erano quasi sempre altolocate e borghesi. Nonostante questi sospetti e queste diffidenze, Chaplin vinse un primo Oscar nel 1929. Un riconoscimento che gli venne dato alla carriera, per l’opera complessiva fino a quel momento compiuta con il cinema muto. E’ interessante notare che, nella sua carriera, Chaplin, forse il più grande cineasta del secolo, non vinse mai un Oscar per un film, se non come musicista. Tra i tanti film, ne fece uno in particolare che addossò i sospetti su di lui: “Il grande dittatore”, una parodia feroce di Hitler. Un film girato prima della guerra, quando ancora, in America, una certa borghesia guardava con simpatia le gesta del dittatore nazista. Persino il fratellastro di origine ebrea lo rimproverò aspramente per i guai che quel film avrebbe potuto procurargli. Qualcuno dovrà pur farlo, disse Charlie. Nel 1952, durante un viaggio in Europa, Chaplin fu di fatto esiliato. Il governo americano infatti lo dichiarò indesiderato e lui fu costretto a rifugiarsi in Svizzera. Negli anni ’50, in Europa, Chaplin ebbe i riconoscimenti adeguati al suo status di genio assoluto del ‘900. Francia e Italia gli attribuirono le massime onorificenze. Nessuno è profeta in patria. Fu solo negli anni ’70 che le sue “due” patrie, Stati Uniti e Inghilterra, lo rivalutarono. Nel 1975, due anni prima che morisse, la Regina di Inghilterra gli attribuì la carica di Cavaliere. Tre anni prima, Chaplin ricevette, alla cerimonia degli Oscar, il secondo premio alla carriera, per aver “trasformato delle immagini in movimento in una forma d’arte”. Il pubblico, alla consegna del premio, si alzò ed iniziò ad applaudire. Non era un applauso normale, era un tributo, una riconoscenza a lungo repressa al più grande maestro del cinema, ma non solo. Era il volere seppellire tutte le colpe di una nazione che aveva estromesso per troppo tempo, dalla sua cultura, uno dei più grandi geni del secolo. L’applauso divenne scrosciante e nessuno riuscì a fermarlo per 12 minuti, il più lungo applauso della storia degli Oscar. L’anno dopo, nel ’73, a Chaplin fu attribuito un terzo Oscar, questa volta come musicista per la colonna sonora di “Luci della Ribalta”, uscito in realtà nel ’52 ma giunto al grande pubblico, per i problemi del maccartismo, solo dopo vent’anni. Chaplin muore la sera del Santo Natale del 1977, una sorta di scherzo del destino per un ateo. Uno scherzo del destino anche per tutti quelli della nostra generazione, che così rivedono il film della propria infanzia, cadenzato da quelle giornate di feste natalizie dall’atmosfera magica e dalle poche pretese, che la poesia di Chaplin rendeva più vere e malinconiche. E il groppo alla gola sovviene non solo per il tempo che passa, non solo per quel bambino soffocato dagli anni, dalle faccende quotidiane e dalle preoccupazioni del vivere moderno che si riaffaccia dal profondo immemorabile ascoltando la malinconica melodia di “Luci della Ribalta”. Ma anche per l’idea che quella poesia, che tanto aveva dato alla nostra generazione, oggi è dispersa forse per sempre, travolta da cose pervasive e da tempi rapidi e inafferrabili, gli stessi che Chaplin aveva previsto nelle sue opere.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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