Il 25 aprile sono successe un sacco di cose. Scopro da Wikipedia che era il 25 aprile quando per la prima volta un cartografo usò il nome “America”. Il 25 aprile ci fu il primo uomo ghigliottinato e sempre il 25 aprile venne registrato il primo caso di AIDS.
Però il 25 Aprile per l’Italia significa innanzitutto la liberazione dal nazifascismo.
Non sono nessuno per mettermi a raccontare cosa successe, a fare analisi, a leggere la storia contropelo per proporre qualche improbabile (da parte mia) teoria su quei fatti e quei giorni.
Però una cosa sento di dirla, anzi due. La prima è che in giorni come quelli appena passati, in cui si è fatto un gran discutere anche in modo brusco e antipatico di trivelle, referendum, astensione, qualità della nostra democrazia, in fondo stavamo festeggiando. Si perché comunque, anche ignorantemente (parlo per me), inconsapevolmente, arrogantemente, maleducatamente, silenziosamente eccetera, ognuno di noi ha avuto la possibilità di fare quello che sentiva giusto fare. Questo è il vero tesoro per cui molta gente è morta prima di quel 25 Aprile del 1945, che ognuno sia libero di esercitare i propri diritti civili come meglio crede, e sia libero di parlarne con chiunque altro, anche a muso duro, ma libero.
L’altra cosa è questa: non è ancora finita. I diritti ci sono ancora, la gente li esercita, la legge permette e garantisce bene o male tutto questo, ma non è ancora finita.
C’è un’aria strana da qualche tempo. Ogni tanto un amico, un parente, mi racconta di come tra i più giovani serpeggi una specie di rabbia. Una specie di rassegnazione cattiva. Mi raccontano di gruppi di adolescenti, non di Scampìa o dello Zen, ma di zone relativamente agiate della Sardegna settentrionale, che simpatizzano per la criminalità organizzata, come se fosse una possibile alternativa a una vita priva di sicurezze economiche. Sento anche di classi quasi intere di ragazzi e ragazze per cui è normale respingere alle frontiere chi migra per cercare scampo alla morte. C’è gente, tanta gente, che sale fuori dal buio del suo anonimato per augurare la morte agli occupanti dei barconi. Ci sono Stati moderni e civili che per fermare i migranti tornano ad alzare barriere tra noi e loro, tra loro e Loro. Muri, si stanno alzando muri, dentro le nostre case e le nostre comunità, dentro l’unico tempo che ci è dato per vivere.
Oggi, 25 Aprile, tocca annusare l’aria con più attenzione.
Quel fascismo, quel nazismo, hanno lasciato l’Italia settantuno anni fa, ma erano unici, erano quelli e facciamo bene a celebrarne la fine.
Ne sono possibili altri, però, e prima che si affacci chi possa guidarli ci sarà sicuramente una folla, un’opinione pubblica pronta ad accoglierlo.
Il 25 Aprile sia questo, oggi più che mai: non uno sguardo al passato, non un manifesto per il futuro, ma una buona scusa per dare uno sguardo a questo presente, l’unico tempo adatto per opporci.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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