Il 25 agosto del 1987 mi trovavo all’Asinara. Era una di quelle giornate limpide come solo in quell’isola si riescono a vedere. Le nuvole arrivarono di colpo, grazie al televideo, antenato di facebook e di Twitter. Lo guardavano al centralino e anche in qualche diramazione. La pagina 101 di televideo batté la notizia: “Rivolta nel carcere di Porto Azzurro, i detenuti hanno preso degli ostaggi e posseggono delle armi”. Quando una notizia del genere passa in un carcere, il colore del sangue diventa più pallido e ci si guarda in faccia cercando parole che, chiaramente, non si trovano. Non si capiva cosa fosse successo. Dal Ministero silenzio completo. Quella pagina veniva aggiornata di tanto in tanto e l’angoscia saliva. C’erano agenti che a Porto Azzurro avevano lavorato, conoscevano i colleghi. Personalmente conoscevo il Direttore. Cosimo Giordano, persona mite e degnissima. Era tra i sequestrati. Furono ore difficili. Non si capiva l’entità e la gravità della situazione. Si temeva che la Legge, la Gozzini, appena approvata un anno prima, potesse essere completamente rimodulata. Invece fu lei a vincere. Fu grazie a quella legge e alla lunga ed estenuante trattativa di Nicolò Amato, allora capo degli istituti di prevenzione e pena, che i rivoltosi si arresero. Senza nessun spargimento di sangue. Tra i detenuti il più famoso era Mario Tuti, un fascista vero, con una passione per le arti marziali. Insieme a lui Mario Ubaldo Rossi, Mario Marroccu, Gaetano Manca, Mario Cappai e Mario Tolu. Diranno, a più riprese, che non c’era niente di politico, ma era solo un tentativo di evadere in quanto ormai – tutti ergastolani – potevano perdere, al massimo, solo le proprie catene. La rivolta si concluse il primo settembre con la promessa che lo Stato avrebbe osservato con attenzione i percorsi di chi aveva tentato qualcosa di sensazionale. I trenta ostaggi furono liberati e questa è ricordata come l’unica rivolta di un carcere in tempi moderni senza nessun spargimento di sangue. Oggi molti di loro, nonostante l’ergastolo, sono riusciti a percorrere il cammino difficile ed hanno ottenuto permessi premio e lavoro all’esterno. Gli uomini, in fondo, riescono sempre a costruire anche nel deserto. Con alcuni detenuti protagonisti ho avuto modo di parlare e di ricordare quei momenti. Tutto passato, ormai. Però quel 25 agosto 1987, all’Asinara ebbi come l’impressione che qualcosa si stesse incrinando. Per fortuna, almeno in quell’occasione, mi sbagliavo.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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