La macchina del tempo fa un salto all’indietro di trentadue anni e ci porta in uno studio musicale di non so bene quale punto degli Stati Uniti, credo Los Angeles. Dentro lo studio, una quantità di stelle della musica mondiale, in particolare di quella statunitense, stanno per incidere quella che è destinata a diventare la canzone più cantata e popolare dagli anni Ottanta in poi. Dentro ci sono un po’ tutti, da Stevie Wonder a Bruce Springsteen, da Billy Joel a Dionne Warwick, Ray Charles, Michael Jackson, Bob Dylan eccetera eccetera. L’iniziativa è nata sulla scia di quanto fatto dai colleghi britannici l’anno prima, con la Band Aid che cantava Do they know it’s Christmas. In entrambi i casi si trattò di iniziative benefiche a favore di paesi africani, e in entrambi i casi il successo fu mondiale. Ma per gli USA for Africa, di più. In quegli anni la canzone passava in radio a ogni ora. Bastava scorrere un paio di volte la rotella della sintonia avanti e indietro per trovare una nuova emittente che la stava trasmettendo. E io mi ricordo che, oltre all’orecchiabilità del brano, oltre al senso di ammirazione per quella enorme quantità di giganti riuniti su una sola pedana a cantare e ridacchiare come vecchi amici, beh, soprattutto ricordo la sensazione che si poteva unire frivolezza e ideali, musica leggera e giustizia, canzonette e solidarietà. Non mancarono le critiche, non tanto in quegli anni quanto in seguito, perché il prodotto sembrò a molti ipocrita, frutto di cattiva coscienza, buonista. Non so. Io sono rimasto a quella primavera del 1985. Giravo per il paese mano a mano con la mia prima ragazza “ufficiale”. Erano anni in cui il cuore batteva a mille per ogni stronzata, e meno male. Non eravamo migliori dei quindicenni di oggi, ne conosco molti che si fanno le stesse pippe mentali che mi facevo io, anche meglio. Tra le tante cose di quegli anni che mi hanno lasciato il segno c’è sicuramente quella canzone. Se potessi fare un regalo ai quindicenni di oggi, li porterei nella macchina del tempo per vedere come si stava ai tempi di We are the World. Sarà stata anche ipocrita e buonista, ma nell’America di Reagan era un bel segnale dissonante. Chissà che con Trump non succeda di nuovo.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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Break news: Fedez e Francesca Michielin vincono il Festival di Sanremo.
Grazie dei fior. (di Giampaolo Cassitta)
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