Il 14 settembre 1991, a Firenze, fu sfregiato da un folle il David di Michelangelo. Si disse, allora, che era stata colpita la bellezza. Era vero. Non siamo abituati ad amare le cose belle, pure. Non siamo disposti a contemplare quello che in questo paese è stato prodotto nel corso dei secoli. Ci crogioliamo nell’essere culla della civiltà, dell’arte, dell’architettura, ma non riusciamo a trasferire tutta quella bellezza nelle nostre vite, nei nostri gesti quotidiani. Noi sfregiamo il David di Michelangelo tutte le volte che buttiamo la carta o le cicche di sigarette per terra, quando abbandoniamo le buste della spazzatura per la strada, quando distruggiamo le dune della spiaggia. Noi sfregiamo il David di Michelangelo ogni qualvolta strombazziamo con il clacson, parcheggiamo in seconda fila, inveiamo se al semaforo verde quello che è davanti non scatta come se fosse Vettel. Sfregiamo il David di Michelangelo quando costruiamo mostri di cemento davanti alle spiagge, quando non dipingiamo le pareti dei nostri palazzi, quando non controlliamo i ponti e i viadotti. Sfregiamo il David di Michelangelo quando insultiamo qualcuno che neppure conosciamo ma ha scritto qualcosa che non condividiamo su un social, quando diciamo “non sono razzista ma”, quando crediamo che sia tutto un “magna magna”, quando siamo convinti che la colpa sia sempre degli altri o dei politici ladroni. Noi sfregiamo il David di Michelangelo ogni qualvolta non leggiamo un libro, non ascoltiamo, non pesiamo le parole. Tutti i giorni, in questo nostro paese – che, evidentemente non sentiamo “molto” nostro – sfregiamo il David, la Pietà, la barcaccia, il Colosseo, l’arena di Verona. Lo facciamo con la nostra strafottenza, la nostra non curanza la nostra incapacità di capire la bellezza. Ed è peggio che dare una martellata reale a quel David che rappresenta l’incanto assoluto.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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