Poi, provate a dire che non è accaduto, che le cose non sono andate così come le raccontano. Che, in fondo, si trattava di una guerra e che loro, i tedeschi, erano anche stati nostri fedeli alleati. Sono quelle storie che prendono alla gola e ti lasciano un segno indelebile nella memoria. Sono quelle storie che costruiscono il tuo futuro e non puoi dire: tutto è passato, tutto è da dimenticare. Certo, il 24 marzo del 1944 è piuttosto lontano: sono passati 72 anni. Non tutti c’erano e non tutti ricordano. Però, la storia non è costruita solo con gli occhi di chi la vive. Sarebbe troppo semplice. La storia ci racconta che le truppe tedesche che occupavano Roma, quel giorno, quel maledetto giorno del 1944 uccisero 335 tra civili e militari nelle fosse Ardeatine. Ci sono stato in quello strano luogo. Quel sacrario di tombe e di silenzio. Dove i nomi si possono leggere in quelle lastre di un blu infinito e triste. 335 nomi che ci guardano. E osservano la storia. Erano cave e servirono, almeno nelle intenzioni, per nascondere i cadaveri. Perchè anche i cattivi provano vergogna. Fu una rappresaglia contro l’attentato compiuto dai partigiani del GAP in via Rossella. Morirono 33 tedeschi. Sono cose che si studiano a scuola. Non è questo il punto. Meglio: non è solo questo. Il 24 marzo del 1944 scoprimmo di essere tanti e di essere forti. Il problema, come sempre nelle nostre stragi, era come farlo capire ai morti. Ma, soprattutto, negli anni successivi il problema diventava un altro: come far capire a quei 335 morti che il loro sacrificio era servito per la nostra pace e la nostra libertà. C’è una bellissima canzone scritta da Gigi Lunari e interpretata dai Gufi, in uno spettacolo contro le guerre, del 1967. La canzone ha un titolo significativo: “Non maledire”. Da adolescente l’avevo imparata a memoria e ancora ne ricordo le parole: “Non maledire, questo nostro tempo, non invidiare chi nascerà domani, chi potrà vivere in un mondo felice, senza sporcarsi l’anima e le mani”. Era la prima strofa. La porto sempre con me. Dentro di me, fortemente. Come i tanti morti di troppe guerre e di troppe stragi. Il 24 marzo del 1944 è una delle date che camminano nella ruota dei miei ricordi: come altre stragi e altri morti. Silenti e oscuri. Ricordate, ve ne prego. Il ricordo è l’allenamento più bello dell’appartenenza alla storia. La nostra storia.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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