Il 24 luglio del 2005, nel giorno in cui annunciava il suo primo ritiro dall’attività agonistica, il ciclista americano Lance Armstrong confezionava l’ennesimo imbroglio della carriera, vincendo per la settima volta consecutiva il Tour de France. Da un decennio prendeva il giro il mondo, compreso il presidente americano George Bush, ma nessuno voleva credere alle insinuazioni di chi vedeva nei suoi trionfi altro, oltre alla volontà e al talento. Un settimo sigillo, quello al tour del 2005, che unitamente a tutte le precedenti vittorie gli verrà tolto a tavolino qualche anno più tardi, quando le bugie e l’omertà su cui aveva costruito la seconda parte della sua carriera si sbricioleranno sotto i colpi delle denunce, delle rivelazioni, dei sensi di colpa dei complici e, infine, per diretta ammissione dello stesso protagonista.
Successi ottenuti grazie al massiccio uso di sostanze dopanti, dall’epo agli steroidi anabolizzanti, e alla complicità del medico italiano Michele Ferrari, cui Armstrong e tanti altri professionisti del pedale si rivolsero a partire dagli anni novanta. Se volete avere un quadro chiaro di cosa fosse il ciclismo di quel periodo e del potere che Armstrong esercitava su quel mondo, vi consiglio di vedere il film “The program”: una sintesi agghiacciante di vent’anni di carriera all’insegna dell’inganno.
La seconda parte della carriera, ho scritto qualche riga fa. Come tutti sanno, Armstrong lasciò il ciclismo a metà degli anni novanta a causa di un tumore ai testicoli, scoperto quando già erano apparse delle metastasi al cervello. Eppure, la sua forza di volontà e cure evidentemente efficaci gli permisero di vincere il male e riprendere a pedalare. Nessuno credeva nelle sue possibilità di riscatto, invece fu un crescendo di successi culminati con le sette vittorie al Tour. La sua figura finì con l’offuscare per grandezza quella di Marco Pantani: le due carriere si incrociarono per un attimo, ma mentre Armstrong diventava invincibile quella del formidabile scalatore romagnolo sbiadiva nel dramma. George Bush jr volle Lance al suo fianco alla Casa Bianca, dopo il settimo Tour, quale testimonial eccellente della lotta contro il cancro.
Erano successi che però alimentavano da sempre pesanti sospetti, accreditati da inchieste giornalistiche e dai dubbi di altri ciclisti professionisti, cui risultava inspiegabile la prodigiosa crescita di prestazioni dell’atleta texano. Alla fine venne fuori che Armstrong si dopava pesantemente già prima della malattia: furono proprio le cartelle mediche dell’ospedale in cui fu ricoverato a dimostrare l’uso di Epo, poi diventato abituale, secondo un vero programma cui si sottoponevano tutti gli atleti della Us postal, la squadra del ciclista texano. Uno di loro, l’americano Floyd Landis, vinse il tour l’anno dopo il primo ritiro di Armstrong (che tornò a correre nel 2009, per una sola stagione), ma risultò positivo ad un controllo antidoping e, alla fine, si decise a vuotare il sacco. Svelando il grande inganno di Armstrong, un segreto difeso per tanti anni grazie ale intimidazioni e al suo grande potere di ricatto sull’intero ambiente. Non tutti, però, accettarono la consegna del silenzio. Se il 24 luglio del 2005 Armstrong vinceva il suo settimo ed ultimo tour, il 23 luglio dell’anno prima accadde un fatto vergognoso, la cui gravità apparirà chiara solo molti anni dopo. Nella terzultima tappa del Tour de France, ininfluente per la classifica, l’italiano Filippo Simeoni andò in fuga. Con un gesto clamoroso e al di fuori di ogni etica sportiva, fu proprio la maglia gialla Armstrong a mettersi al suo inseguimento e a riportare sotto il gruppo, vanificando la fuga del gregario laziale. Ma Armstrong non si limitò a mandare in frantumi i piani di Simeoni. No, gli si affiancò per sussurrargli qualche parola, poche battute chiuse con un gesto intimidatorio: indice e pollice uniti scorsero lungo le labbra del texano, per richiamare al silenzio Simeoni. Che aveva fatto Simeoni per meritarsi questo trattamento, sfacciatamente riservatogli dall’onnipotente texano sotto gli occhi delle telecamere di mezzo mondo? Semplice: aveva deciso di testimoniare nell’indagine sul doping nel ciclismo avviata in quel periodo, un’indagine che comprensibilmente Armstrong temeva molto.
Per la sua onestà Simeoni fu emarginato, discriminato e danneggiato in ogni modo possibile, anche dalla federazione italiana. Oggi la storia è stata riscritta. Ma quelle correzioni non possono cancellare la beffa architettata da chi, per dieci anni, ha preso in giro il mondo intero. E non parlo solo di Armstrong.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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