Il 24 dicembre di ogni anno è il momento per mandare a casa, solo per qualche giorno la politica. Tutto chiude: il parlamento, i comizi, le diatribe, gli odi, le divisioni. La vigilia disegna spazi diversi. Il 24 dicembre è il giorno della bontà. Ma non serve assolutamente a nulla. Perché la politica è l’arte dell’imponderabile e della complessità. E’ dire azzurro dove il grigio impazza, è affermare il proprio interesse per cose di cui niente ci interessa, è giocare con il sorriso mentre siamo tutti con il coltello in tasca. Questo è quello che ci rimane. Ma non è la politica. In realtà questo tipo di fare politica è la risultante di anni trascorsi a chiuderci gli occhi, a non respirare, a credere che questa sia “la politica”. A credere a uomini piccoli, insignificanti, senza neppure un’idea utile per trascorrere, non dico la legislatura, ma perlomeno la giornata. Uomini vili, senza spina dorsale, senza cultura. Senza, soprattutto, la cultura della politica. Uomini (e donne, chiaramente) con un’etica imparata sui sunti Bignami, sul voler trattare tutto e a tutti i costi. Uomini (e donne, chiaramente) non disponibili ad essere al servizio degli altri ma solo ed esclusivamente al servizio di se stessi o, al massimo degli amici. Se devo lasciare voglio, pretendo, chiedo, esigo di poter capire chi entra al mio posto, chi metterete nei banchi della regione, del comune, del parlamento. Io esigo, io credo, io ritengo. Gente misera, inetta, abituata ad utilizzare il pronome “io” e mai, dico mai e neppure per sbaglio, provare a presentarsi con il “noi”. Gente insignificante, arrogante, falsa, gente che ha contribuito a mischiare i colori. A far dire alla gente (la stessa gente che, quando fa comodo inneggiano e quando non serve dileggiano) “tanto son tutti uguali”. Ma non è così e se lo fosse l’altra sponda dovrebbe solo vergognarsi di tutti i candidati indagati, rinviati a giudizio e di quelli ancora (per poco) onorevoli sdraiati nei pancacci delle patrie galere. Non siamo uguali. Non dovremmo esserlo. Non possiamo e non dobbiamo mischiarci nella stessa tavolozza delle opportunità. Oggi, il 24 dicembre, giornata di una falsa pace, la politica ha perso. La politica vera, quella delle scelte per tutti, quella di Martin Luther King, di Montesquieu, di Voltaire, di Gramsci, di Mazzini, di Che Guevara, quella dei sogni da realizzare, quella dei partigiani, del sangue mai rappreso delle lotte quotidiane. Quella politica ha perso. E noi con lei. Non abbiamo bisogno di stare ad ascoltare. E’ venuto il tempo di gettare la tavolozza, di riprendere una tela nuova, bianca e ricominciare a disegnare. Scegliendo bene i colori. Perché il rosso è rosso e il nero è nero. E non di mischiano. Mai. Il 24 dicembre è solo una piccola pausa. Molto falsa.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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