Quel che accadde sul fronte franco-belga della prima guerra mondiale, il 24 dicembre del 1914, fu così meraviglioso ed inspiegabile che ancora oggi lo si ricorda. Fu un’esplosione di umanità che ammutolì le armi e il frastuono dei cannoni, fu un abbraccio fraterno tra uomini costretti alla guerra. Fu, appunto, la tregua di Natale. Le trincee degli schieramenti inglese e tedesco erano tanto vicini che i soldati potevano sentire quel che si mormorava nella linea nemica. Ad un certo punto, i tedeschi illuminarono le loro postazioni accendendo delle candele, una lunga fila di ceri estesa per centinaia di metri. Contemporaneamente, iniziarono ad intonare le loro canzoni natalizie. Dall’altra parte, gli inglesi risposero cantando i loro motivi tradizionali, come ad accogliere l’invito al solenne momento del Natale che stava per arrivare. Vi fu un grande applauso, un battere di mani condiviso tra i fronti. Poi i soldati iniziarono ad uscire allo scoperto, a corrersi incontro e a salutarsi con calorosi abbracci. Si scambiarono doni, cibo, bottoni, i barbieri inglesi tagliarono i capelli ai soldati tedeschi. Nel fango della terra di nessuno, dove resti di cadaveri abbandonati imputridivano, tedeschi ed inglesi giocarono anche una partita di calcio. Negli occhi dell’altro, prima che il nemico, videro l’uomo, con tutte le paure e le speranze di qualunque uomo su questo pianeta. Non c’era stato alcun ordine dai comandi, la Tregua di Natale era stata un fatto spontaneo e per certi versi irripetibile. E, infatti, i comandi lo biasimarono e cercarono di censurarlo, non riuscendo però ad evitare che la notizia venisse pubblicata dai principali quotidiani europei, preceduti dallo scoop dal New York Times, primo giornale a raccontare della Tregua. Il silenzio delle armi resse fino a Capodanno, prima che la mattanza ricominciasse. Ma quel frammento di pace, così spontaneo e umano, si era guadagnato l’eternità.
Quella parentesi di pace non trovò tutti d’accordo neppure tra i protagonisti. Un caporale tedesco, vedendo i suoi connazionale stringere le mani ai britannici, commentò sdegnato: “Dov’è finito l’onore del mio popolo?”. Si chiamava Adolf Hitler.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo e-book "Cosa conta".
Il viale dell’Asinara. (di Giampaolo Cassitta)
La strana storia del Dr. Gachet. (di Giampaolo Cassitta)
Temo le balle più dei cannoni (di Cosimo Filigheddu)
La musica che gira intorno all’Ucraina. (di Giampaolo Cassitta)
22 aprile 1945: nasce Demetrio Stratos: la voce dell’anima. (di Giampaolo Cassitta)
Ha vinto la musica (di Giampaolo Cassitta)
Sanremo non esiste (di Francesco Giorgioni)
Elisa o il duo Mamhood &Blanco? (di Giampaolo Cassitta)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Morto per un infarto Gianni Olandi, storico corrispondente da Alghero della Nuova Sardegna (di Gibi Puggioni)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 17.708 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design