Giorni fa ho detto la mia nel dibattito su vaccinazioni, medicina, libertà individuali, informazione, responsabilità, radiazioni dall’albo ecc.
La discussione che si è innescata ha avuto alcune conseguenze piacevoli: lunghe chiacchierate con amici medici, ringraziamenti da parte di chi aveva letto i miei pezzi, nuovi contatti. C’è stato qualche risvolto meno piacevole, come la sensazione di aver messo a disagio qualcuno e di aver infastidito qualcun altro, per aver espresso idee –io credo- più ragionevoli e dignitose di quanto una certa difficoltà a mettere in discussione le proprie, a volte consente di vedere.
Alla fine, penso di non essere riuscito a spiegare fino in fondo cosa intendevo dire.
Nelle discussioni rabbiose che si scatenano su questi temi, di frequente compare il seguente ragionamento: “Vorrei vedere cosa farebbero i detrattori della medicina, il giorno in cui scoprissero di avere qualcosa di grave. Userebbero il bicarbonato o andrebbero a farsi curare nel Blog di Grillo?”. Apparentemente condivisibile, in realtà è lo stesso tipo di argomentazione usato da padre Livio Fanzaga, il direttore di Radio Maria, in polemica contro i messaggi dell’Unione degli Atei e Agnostici razionalisti: “Aspetta che ti venga il cancro, poi vedi se non chiedi la grazia a quel padre eterno che tu hai negato”. Per chi fosse incuriosito, la registrazione della trasmissione si trova facilmente in rete. Il messaggio comune, tra le righe è: “esiste una verità assoluta a cui è connesso un potere in grado di dispiegarsi in modo efficace, chi la nega fa un grave errore e si mette in pericolo”. Una cosa molto religiosa e poco scientifica.
Chi si arrischia a mettere in dubbio certezze assolute e poteri efficaci, può corrispondere ai profili più disparati, che vanno dal fanatico al dubbioso, dal complottista all’apprensivo al curioso all’anarchico. Una cosa che aiuta il ragionamento e il confronto, però, è spostare l’attenzione dai profili e dalle etichette, per portarla sulle argomentazioni, sui dati veri o presunti (per vedere se sono veri o presunti), sulle aspettative e le paure, sui dubbi.
È di qualche giorno fa l’intervista, su un settimanale locale, a una mamma di La Maddalena, costretta a partorire a Olbia per la chiusura del Punto nascite dell’isola gallurese. La chiusura del Punto nascite è stata decisa dai vertici sanitari e politici della Regione Sardegna, sulla base di rigidi protocolli di valutazione (approvati dall’OMS) a loro volta costruiti sui grandi numeri. In sostanza, è accertato statisticamente che partorire in centri che trattano meno di 500 parti all’anno, sia poco sicuro. La Maddalena arriva al massimo a un centinaio di nascite ogni anno, e pertanto il suo Punto nascite, pur avendo funzionato egregiamente dal 1970 in poi, e nonostante i progressi fatti dalla medicina nel frattempo, paradossalmente risulta oggi meno sicuro. Si potrebbe obiettare, con diverse ragioni, che io non ho preparazione e strumenti sufficienti per giudicare, non essendo un medico. Ma leggendo l’intervista della neo mamma costretta a partorire a Olbia, emerge chiaramente che il concetto di “rischio” non dà molto peso a cose che invece per una mamma pronta a mettere al mondo un figlio, sono molto importanti: mi riferisco al sentirsi a casa, in un ambiente familiare, vicina al marito, ai figli, ai propri genitori. Ho il sospetto che, al di là delle statistiche e dei grandi numeri, la formazione di un’idea profonda di “salute” debba contenere anche le cose che quella mamma chiede e che invece le sono sottratte dal trasferimento forzato in un’altra Città.
È invece di ieri la notizia che una retata dei Carabinieri ha interrotto una presunta lucrosa rete di affari, centrata sulla terapia del dolore e sulla figura di un medico di primissimo piano, il Professor Guido Fanelli.
Non è un luminare qualunque. È il padre della legge 38/2010: “Cure palliative e terapia del dolore”. Secondo Huffington Post, Fanelli “Navigava nel business delle malattie croniche, lucrando sui malati, sperimentando illegalmente farmaci su di loro e intascandosi profumate tangenti dalle case farmaceutiche, tali da potersi permettersi uno yacht per le vacanze di famiglia”.
C’è un passaggio dell’articolo che mi ha colpito più di altri, anche perché sarebbe lo stralcio di un’intercettazione in cui il medico stesso spiega come funzionava il sistema all’attenzione degli investigatori: “Io prendo soldi dall’uno e dall’altro in maniera uguale e paritaria, sono bravo a tenere il piede in quattro o cinque scarpe. Io ho il centro hub del dolore più grosso di Italia con 19mila interventi all’anno, ho la forza di spostare milioni di euro perchè con la forza scientifica tutti danno credito a ciò che scriviamo”.
La “forza scientifica” mi ricorda quel “potere efficace” di cui parlavo all’inizio, un qualcosa che c’è ma che si presta a essere usato per scopi che con la scienza hanno poco a che fare.
Questa vicenda della legge 38/2010, che sembrerebbe creata ad hoc, mi ricorda molto un’altra storia, quella dell’introduzione in Italia dell’obbligo vaccinale per contrastare l’Epatite B. Così come non contesto l’utilità delle terapie del dolore, allo stesso modo non discuto l’efficacia di questo vaccino, che sicuramente esiste, ma è inevitabile porsi qualche domanda, e sospendere qualche certezza, nel ricordare che quel vaccino divenne obbligatorio nel 1991, non in seguito a studi scientifici, che l’inchiesta rivelò essere carenti, ma in seguito a una tangente di 600 milioni di lire pagata a Francesco De Lorenzo e Duilio Poggiolini. Nel processo che scoperchiò l’operazione, 20 case farmaceutiche patteggiarono la pena.
Tornando al multiforme bacino di chi dubita, credo sia interesse collettivo quello di imparare a distinguere gli invasati dalle persone ragionevoli, evitando atteggiamenti “alla Padre Fanzaga” o prendendo per idiota chi semplicemente, di fronte a certe notizie, non si fida e cerca solo di provare a capire, in nome di un’idea di salute che non può discendere solo dall’applicazione di calcoli e statistiche, ma ha a che fare anche con qualcosa di più profondo, che con i numeri e i microscopi non siamo ancora riusciti a rappresentare.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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