Il personaggio di oggi è Lisa Bosia Mirra, deputata svizzera del Canton Ticino, condannata dalla giustizia del suo paese per avere aiutato alcuni migranti a varcare il confine con l’Italia ed entrare in Svizzera. I fatti contestati risalgono all’estate scorsa. Questa, più di altre storie, getta un fascio di luce sull’abisso che divide i ricchi dai disperati.
Lisa si è mossa a soccorrere dei migranti che stazionavano a Como nella speranza di entrare in Svizzera, e ha raccolto storie di abominio e dolore che potrebbero forse illuminare la scena, indegnamente occupata dall’ignoranza disumana dei razzisti. Potrebbero, se qualcuno le raccontasse. Invece sono storie relegate ai margini, come i loro protagonisti. E l’emarginazione, il tenere fuori, lungi dall’essere solo il leit motiv di alcuni movimenti politici, sta diventando la cifra della politica e della civiltà occidentale. La vicenda di Lisa Bosia indica questo: una legge condanna tout court l’immigrazione clandestina, a prescindere da ogni considerazione umanitaria; lei si appella alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e alle leggi che ne discendono, e viene condannata.
Lei, nelle scene di disperazione che l’hanno spinta ad agire, dice di aver visto la fine di ogni umanità. Ma riuscire a vedere cosa è umano e cosa non lo è, sta diventando sempre più difficile. Perché può essere disumano anche “Il privilegio di quel passaporto che permetteva a me di tornare a casa, a me che non ho fuggito la guerra, che non ho mai patito la fame, che non ho rischiato la vita nel deserto. Io tornavo a casa e loro restavano al parco. Anche quella ragazza il cui fratello era morto nel naufragio dell’imbarcazione sulla quale viaggiavano entrambi; anche quell’uomo che aveva trascorso dieci mesi attaccato ad un muro da una catena”.
Siamo ormai quasi assuefatti a questo dolore così indiretto, così altrui. E sicuramente il proliferare di leggi e sentenze così spietate, ha bisogno della nostra assuefazione.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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