La Macchina del Tempo di Sardegnablogger è la rubrica che prima si chiamava L’Agenda scorsa, una sorta di accadde oggi che consentiva di riesumare fatti ed eventi successi in un giorno specifico. Dopo un restyling, noi redattori, abbiamo deciso di allargare le maglie della catena e slacciarci autonomamente da quei vincoli cronologici consentendoci di passeggiare a spasso nel tempo per disseppellire fatti che, soggettivamente, ci paiono interessanti. Alcuni di noi continuano a preferire l’aderenza temporale e altri, tra cui la sottoscritta, talvolta scelgono di liberarsi da quella restrizione del calendario.
Sono passati ventuno anni, ma per me è successo ieri. Il telefono di casa aveva squillato a lungo, prima che andassi a rispondere. I cellulari si affacciavano sul mercato, ma non erano certo alla nostra portata e avremo continuato a usare il fisso per almeno un altro lustro.
– Oh Romi’… – – Ciao Gabriella, dimmi –
Non era la sua solita voce allegra e propositiva per accordarci sull’orario di uscita, avevo capito immediatamente che era capitato qualcosa di brutto.
– Lolle è stato rapito, ieri notte. –
In quel preciso istante il sequestro, quell’avvenimento così grande e astratto al quale mi ero avvicinata solo attraverso le pagine dei quotidiani o i TG, piombava improvvisamente all’interno del mio microcosmo, facendosi spazio con prepotenza e spingendo al lato tutto il resto.
Lolle era il soprannome di Antonio e, in un paese piccolo come Ozieri, dove tutti conoscono tutti, Antonio Marras lo si conosceva prima di conoscerlo. Prima di sempre. Antonio era un Marcantonio di un metro e novanta centimetri, bello come il sole, che aveva spettinato gli ormoni a metà della popolazione ozierese. E l’altra metà era rimasta insensibile solo perché maschile. Lui proveniva da una famiglia di facoltosi possidenti, di quelli che affondano le radici nella Sardegna del latifondo. Il padre, un rinomato cardiologo, si narra che anni prima avesse dispensato le proprie cure mediche a un latitante cosa che, all’interno di un certo “codice d’onore” del banditismo sardo, collocava la famiglia Marras dentro la categoria protetta dei “non sequestrabili”.
Forse quello era solo un pettegolezzo di paese privo di fondamento o forse il ricambio generazionale dei banditi aveva prodotto uno strappo nel famoso codice, ma quella notte Antonio era stato rapito. Portato via da casa sua, legato e imbavagliato, e condotto nel Supramonte vicino a Oliena. Ore di angoscia terribili. Non era periodo di Internet e di aggiornamenti costanti, cosa che ci faceva pendere dalle labbra delle notizie dei TG Regionali e dal tam tam, spesso inattendibile, delle voci di paese.
Raccontano che il padre, dott. Nino, che al momento del sequestro si trovava fuori dalla Sardegna per motivi di lavoro, appena raggiunto dalla notizia sia sbarcato al mattino e corso nel Supramonte senza nemmeno passare per Ozieri. La disperata necessità di sentirsi più vicino al figlio recandosi negli ipotetici luoghi di prigionia? La possibilità di muovere le pedine giuste e lavorare alla liberazione?
Non lo abbiamo mai saputo, né ci interessava saperlo perché verso sera quel tam tam, quella volta stranamente affidabile, cominciava a diramare una notizia che spianava le rughe della nostra fronte.
– Antonio è riuscito a fuggire – – Ma è cosa certa? – – Pare di sì –
E poi l’attesa di centinaia di persone, assiepate sotto casa sua, cortei festanti fino a notte fonda in attesa del suo arrivo. Era una piazza gremita di affetto quella che l’ha visto giungere, scortato dalle auto della polizia. Era il sospiro di sollievo di un paese intero che per 48 ore era rimasto col fiato sospeso. Era l’esplosione di felicità collettiva nel vederlo scendere dall’auto della polizia, esultante dentro una maglietta strappata e ricoperta di foglie di ortica, che esibiva con orgoglio. Come un bambino mostra fiero le croste alle ginocchia, frutto delle cadute in bicicletta
Ci avrebbe raccontato in seguito che era stato segregato dentro una grotta, disteso su una brandina, con un cappuccio sulla testa e i piedi incatenati ad una stalattite. E quando i suoi due guardiani si erano allontanati aveva sentito, all’imboccatura della grotta, il belato di una capretta selvatica. Cosa che gli aveva dato conferma di essere rimasto solo. Quindi la corsa contro il tempo e la lotta titanica con la paura che gli suggeriva, invece, una più saggia e sottomessa inerzia. Ma lo sappiamo che quando un dramma bussa alla porta, la razionalità e la cautela si dileguano dalla finestra.
Io credo che in quel momento lui abbia scelto una preghiera che magari gli sembrava di ricordare, e che sicuramente rammentava malamente, e si sia messo nelle mani di Dio, in ordine sparso La forza fisica, unita alla disperazione, aveva fatto sì che quella stalattite a furia di tirare, strappare, percuoterla, cedesse. Con la catena ancora alla caviglia si era messo in marcia e camminato per ore, prima in campagna, poi lungo le strade fino ad arrivare all’albergo di Su Gologone. Antonio era libero.
E io non lo so se le cose siano andate realmente così o se ci sia una versione ufficiosa, differente da quella ufficiale. Razionalmente so, come tutti, che dietro a un sequestro c’è solitamente uno spiegamento di uomini tale e un’organizzazione certosina da non permettere che un ostaggio sgusci dalle grinfie dei rapitori per una falla nella sorveglianza, a meno che non venga appositamente messo nella condizione di farlo.
Però quando penso ad Antonio mi viene in mente l’immagine, forse un po’ idealizzata, di un eroe che strappa la catena e corre, corre, corre a perdifiato. In una disperata e inarrestabile fuga verso la libertà.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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