Per otto ore e mezza l’equipaggio sul ponte della nave Lewis fissò il mare, nel punto esatto in cui quello strano mezzo si era lasciato inghiottire dalle onde, alle prime luci del giorno. In quello stesso punto, tra la linea dell’Oceano Pacifico increspata da paurosi cavalloni e il fondale marino sottostante vi era una distanza presunta di undici chilometri, presunta perché quelle profondità così remote nessun uomo le aveva mai raggiunte. La certezza che l’impresa fosse alla portata dell’uomo la si ebbe nel tardo pomeriggio di quel 23 gennaio 1960, allorché il guscio metallico del batiscafo Trieste riemerse in uno sbuffo, salutato dagli applausi e dalla gioia liberatoria del team che aveva sostenuto la sfida. Per la prima volta, in quella data, un mezzo navale riuscì a toccare il fondale della Fossa delle Marianne, la più abissale profondità marina del pianeta Terra. A bordo del batiscafo, stretti in una sfera pressurizzata, avevano preso posto il 38 enne svizzero Jacques Piccard e il tenente americano Dan Walsh. Piccard, 38 enne, era il figlio di Auguste, l’ingegnere che aveva progettato il Trieste e ne aveva seguito tutta la sperimentazione fin dai tempi del varo, datato 1953, partecipando egli stesso alle immersioni. La più significativa delle quali fu organizzata nei pressi di Ponza, quando vennero raggiunti i tre chilometri di profondità. Il Trieste era stato realizzato dalle acciaierie di Terni e dai cantieri navali dell’Adriatico, interessati ad apporre la loro firma sulle sfide oceaniche dell’ingegner Piccard. Il quale aveva fatto parlare di sé già dagli anni trenta, quando batté il record mondiale di altitudine su un pallone aerostatico da lui stesso concepito. Erano tempi di sfide tra i colossi tecnologici e le migliori intelligenze dei vari Paesi civilizzati, cosicché queste imprese avevano sempre un grosso seguito e finanziatori disposti ad accollarsene i costi astronomici. Nel 1958, il Trieste venne acquistato per 250 mila dollari dalla Marina militare americana e trasferito in California. Da quel momento iniziò ufficialmente la sfida alla Fossa delle Marianne, alla quale il vecchio ingegner Piccard, gravemente malato, non partecipò fisicamente. Il figlio Jacques e il tenente Walsh impiegarono 4 ore e 48 minuti prima che il loro sommergibile si posasse sul fondo del mare, dove i 12 centimetri di spessore del guscio di ghisa avrebbero dovuto reggere una pressione di oltre una tonnellata per centimetro quadrato. La profondità raggiunta venne poi calcolata in 10916 metri. Il Trieste rimase là sotto per circa 20 minuti, durante i quali i due uomini dell’equipaggio riuscirono a vedere dal minuscolo oblò gamberetti, platesse e sogliole capaci di vivere in quelle condizioni estreme. La risalita durò poco meno di quattro ore e venne completata senza contrattempi. La sfera pressurizzata del batiscafo è esposta in un museo a Washington, mentre le altre parti del sottomarino vennero riciclate per costruirne uno più evoluto. A dimostrazione della grandezza dell’impresa, va ricordato che soltanto 52 anni dopo un altro uomo riuscì a toccare il fondale della Fossa delle Marianne: era il regista James Cameron, a bordo dello Seadeep Challenger.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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