Sembra incredibile, ma il nostro mondo ancora non è in grado di garantire acqua potabile e pulita per tutti i suoi abitanti. È stato calcolato che un miliardo di persone, un settimo degli abitanti del globo, non ha un accesso garantito a questo bene così fondamentale per la sopravvivenza. Guerre, siccità dovute ad una pessima gestione del patrimonio boschivo, desertificazioni dovute ai cambiamenti climatici, uniti agli sprechi di chi, invece, specie nell’Occidente, non ha penuria di acqua potabile e corrente, hanno reso questo problema la principale fonte di ingiustizia del nostro mondo. La giornata indetta dalle Nazioni Unite nasce dunque per sensibilizzare l’opinione pubblica del pianeta ad un uso razionale ed equo dell’acqua. Penso anche, però, che nel mondo si trascuri il fatto fondamentale che, in fin dei conti, gli esseri umani sono composti principalmente di acqua. La mancata consapevolezza dell’importanza di questa materia, infatti, comincia proprio, secondo me, dalla trascuratezza con cui, noi stessi principalmente, gestiamo l’acqua presente nel nostro organismo. Mi spiego raccontando alcune situazioni aneddotiche vissute nel periodo in cui facevo sport agonistico. Nel mondo degli sport di resistenza, dove, raggiunti certi livelli, inizia ad assumere importanza l’alimentazione, si parlava molto di cosa mangiare e quali integratori alimentari utilizzare, di cosa sciogliere nella borraccia. In ambienti sportivi “puliti”, si discuteva molto, perciò, seguendo gli aggiornamenti scientifici in materia, dell’importanza di certe diete, dei carboidrati e delle proteine nobili a seconda del tipo di impegno fisico, della fondamentale reintegrazione di alcuni sali minerali, ferro, magnesio e potassio prima di tutto, di difficile reperimento anche con diete bilanciate, e delle varie vitamine. La scienza dell’alimentazione sportiva progrediva, tanto da disconoscere vecchie credenze, come quella dell’assunzione di zuccheri semplici prima di una gara, assolutamente dannosa, invece, per la prestazione. Tutte cose effettivamente molto importanti per un atleta agonista, che si allena tutti i giorni in maniera pesante, e ha necessità, per migliorare la prestazione e salvaguardare la salute, di curare anche questi aspetti. Ebbene, soltanto con il tempo, e con l’esperienza, compresi che quelle discussioni e quegli aggiornamenti, seppur seri, non interessavano mai la sostanza di gran lunga più importante per la salute e la prestazione dell’atleta, cioè l’acqua. L’acqua, a torto, veniva data per scontata. Bastava berla! In realtà non era affatto così. Durante gli allenamenti di resistenza nelle giornate calde, si potevano anche consumare per la regolazione termica dell’organismo e per il metabolismo sotto sforzo fino a 3, 4 e, in casi di allenamenti estremi, fino a 5 litri di acqua. Si raggiungevano, di fatto, situazioni di disidratazione acuta. Per dare all’organismo il tempo di recuperare l’equilibrio idrico cellulare, occorre una idratazione costante e regolare per diverse ore. Specie chi fa sport ad alto livello senza però essere professionista, e dunque è dentro i ritmi mentali e fisici del lavoro, della casa e della famiglia, la possibilità di reintegrazione graduale dei liquidi diventa un problema non da poco. Specie perché gli allenamenti incalzano, in quanto assolutamente quotidiani o, addirittura, bigiornalieri. Presentarsi all’allenamento successivo senza aver ristabilito l’equilibrio idrico, è un grosso problema. Con il tempo, e con l’esperienza acquisita negli anni, nelle giornate più calde, prima di allenamenti che sapevo lunghi e faticosi, avevo preso la buona abitudine di pesarmi prima e dopo, in modo da calcolare la perdita di peso dovuta all’acqua e impostare, successivamente, un programma di reintegrazione idrica. Infatti, al contrario di quanto pensa una certa vulgata popolare, il reale dimagrimento, cioè la perdita di massa grassa, è infinitesimale e si può calcolare solo nel lungo periodo. Il grasso si perde con la gradualità e la costanza, non con strapazzi episodici. Tutte le mie precauzioni cozzavano quando incrociavo, infatti, il penitente della domenica, roso dai sensi di colpa per l’abbuffata festiva, che puniva il proprio corpo in cerca di veloci scorciatoie per buttare peso, grondando sudore, correndo sotto il sole con addosso il giubbotto. Un modo del tutto inutile di perdere peso, buono solo a provocare stati di spossatezza e mettere a rischio la propria salute. La questione riguarda anche le persone che non necessariamente fanno sport agonistico. Presi dal lavoro, dalla famiglia, dai ritmi frenetici del quotidiano, si tende, molto di frequente, a trascurare l’acqua che è in noi, a non alimentarla e a integrarla nella giusta maniera. Così facendo contravveniamo al principio fondamentale per la cura e la tutela della nostra salute. Per analogia, se non si ha cura della “propria” acqua, come si può pensare di gestire bene, con sensibilità ed equità, l’acqua del pianeta?
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo.
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