“Mastro Titta passa ponte”. Quando nella Roma ottocentesca si pronunciavano queste parole, significava che una condanna a morte stava per essere eseguita. Per volontà del Papa e delle leggi del Vaticano, che l’ultima traccia della pena capitale l’ha rimossa dal proprio ordinamento solo 15 anni fa. “Mastro Titta” si chiamava in realtà Giovanni Battista Bugatti, era nato a Senigallia e per circa settant’anni fu il boia di fiducia dei pontefici. La sua prima esecuzione è datata 22 marzo 1796, esattamente 221 anni fa. Un tale Nicola Gentilucci, accusato di aver accoppato un canonico e due frati, venne impiccato a poi squartato sulla pubblica piazza, quest’ultimo trattamento riservato agli accusati di reati particolarmente efferati. Mastro Titta aveva al tempo solo 17 anni e mantenne il suo impiego per altri settant’anni, avendone campato novanta. Impiccò, mazzolò e ghigliottinò oltre cinquecento persone, ogni volta sulla sponda opposta del Tevere rispetto a quella del Vaticano. Annotava meticolosamente ognuno dei suoi omicidi, cosicché oggi se ne ha un bilancio esatto. Il condannato veniva preso in consegna da una delegazione di frati della confraternita della Misericordia che lo portavano sino al luogo dell’uccisione, dove generalmente un fitto pubblico assisteva allo spettacolo. In letteratura, teatro e cinema, Mastro Titta è stato protagonista di un’infinità di opere. Com’è ovvio che sia, per uno che fu il Boia di fiducia del Papa e della Chiesa.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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