Sono gli anni ’70 e negli USA ci muoviamo in un perimetro dove l’interruzione di gravidanza non contempla una regolazione federale, bensì rientra nella legislazione dei singoli Stati all’interno dei quali almeno 30 vedono l’aborto come un reato di common law; in 13 è legale esclusivamente in caso di pericolo per la donna, stupro, incesto o malformazioni fetali; in soli 4 Stati resta subordinato all’autodeterminazione della donna.
La sentenza “Roe contro Wade” della Corte Suprema di Cassazione muta radicalmente la collettività americana e lo fa di punto in bianco, con un pugno sul tavolo. Da quel giorno in avanti il diritto di abortire viene tutelato improvvisamente da una precisa norma costituzionale, intoccabile, che tendenzialmente colloca lo Stato fuori dal campo d’azione femminile e lo obbliga al rispetto della donna e del suo diritto di aborto.
Il caso nasce dalle vicende di Norma Leah Nelson McCorvey, la cui privacy viene tutelata dallo pseudonimo Jane Roe, cresciuta sulle ceneri di un’infanzia difficilissima. Allevata, praticamente senza la figura paterna, da una madre alcolista fino a quando, a 16 anni, sposa un uomo violento e da cui ha due figlie. Mentre è incinta del terzo figlio, che non vuole, alcuni amici di Dallas le consigliano di inscenare uno stupro per poter abortire, ma in assenza di prove gli inquirenti negano il ricorso all’interruzione di gravidanza. Fallita quindi la possibilità di abortire in modo fraudolento, intraprende una battaglia legale per vedere riconosciuto un diritto soggettivo all’interruzione volontaria della gravidanza e grazie a due avvocatesse, Linda N. Cofee e Sarah R. Weddington, il suo caso, dopo il primo verdetto di una corte distrettuale, approda alla Corte Suprema nel 1970.
Il 22 gennaio del 1973 viene deciso in favore di Roe, con un voto a maggioranza per 7 a 2.
Una sentenza con una portata dirompente che delibera un nuovo schema secondo il quale ci si slaccia dalle restrizioni statali affermate dal Quattordicesimo Emendamento della Costituzione Americana e si privilegiano i diritti sulle persone affermati nel Nono, incluso quel diritto alla privacy intesa con maglie sufficientemente ampie da abbracciare la libertà della donna di portare a termine o interrompere la propria gravidanza. A causa dei ritardi processuali Norma Leah non poté avvalersi della sentenza e partorì il suo terzo figlio che, così come gli altri due, verrà dato in adozione. Nel 1995 la signora McCorvey si converte drasticamente, grazie a un resuscitato cristianesimo, e diventa un’accanita attivista del movimento Pro Life. Lasciandosi alle spalle una patria potestà revocata e tre figli cresciuti da qualcun altro.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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